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Polvere di Stelle. Il Tribunale di Napoli: Conte non conta, il M5S a Crimi

L'editoriale del direttore Nico Perrone

Pubblicato:07-02-2022 17:56
Ultimo aggiornamento:07-02-2022 18:00

conte m5s
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ROMA – Come tutti i divorzi, alla fine è guerra di carte bollate. Giuseppe Conte non è più presidente del M5S, che torna ad essere guidato dal senatore Vito Crimi, ex capo reggente (e il Garante supremo resta Beppe Grillo). È la conseguenza della decisione presa della settima sezione civile del Tribunale di Napoli che ha sospeso le modifiche allo statuto del Movimento 5 Stelle, approvate il 3 agosto 2021, e la successiva nomina di Giuseppe Conte come presidente M5S, ratificata con delibera del 5 e 6 agosto. I giudici sono intervenuti in merito al ricorso presentato dagli attivisti campani Steven Brian Hutchinson, Liliana Coppola e Renato Delle Donne, tra i dissidenti e fondatori del gruppo ‘No Alleanze’, difesi dall’avvocato Lorenzo Borrè, contro il Movimento 5 Stelle, rappresentato dal legale Francesco Astone.

Ora nel M5S regna il panico. Vero che bisognerà attendere la sentenza, ma la sospensiva decisa oggi comunque riporta al passato, all’estate 2021. Le delibere con le quali è stato modificato lo statuto del Movimento 5 Stelle e subito dopo nominato Giuseppe Conte come presidente del Movimento, carica non prevista nello statuto vigente precedentemente, vanno “sospese in attesa dell’esito del giudizio di merito” si legge nel provvedimento, considerato che risultano sussistere “gravi motivi” che giustificano la sospensione cautelare delle delibere, scrivono i giudici della settima sezione civile del Tribunale di Napoli. La “persistente efficacia” della delibera che ha illegittimamente modificato l’ordinamento dell’associazione e “la permanenza in carica di un organo invalidamente nominato” risultano “dei pregiudizi molto rilevanti per la stabilità della stessa organizzazione associativa“.


E adesso? Nel M5S è caos, cellulari e call ‘bollenti’ in attesa di trovare una via di uscita. E volano i coltelli, soprattutto all’indirizzo di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, che soltanto poche ore fa con mossa a sorpresa si era dimesso dal Comitato di garanzia: “Sapeva benissimo che cosa stava arrivando – commenta un ‘grillino’ di area Conte – era tutto studiato, guarda caso tutto nasce nel suo territorio elettorale“. A quanto si apprende è in corso una riunione a casa di Conte, presente Crimi, per studiare una via di uscita.

Steven Hutchinson, uno dei tre attivisti 5 Stelle che hanno presentato ricorso contro le delibere di modifica dello statuto e di nomina a presidente di Conte, spiega alla Dire: “Chiediamo il ripristino della democrazia interna, lasciando spazio agli iscritti e mettendo da parte i responsabili di questo sfacelo, i responsabili di questa distruzione del Movimento. I responsabili della distruzione del Movimento? Sono Vito Crimi, tutta la classe dirigente, Grillo stesso ha le sue responsabilità. Grillo – ricorda Hutchinson – si era esposto pubblicamente, aveva messo sull’attenti il gruppo. I magnifici sette andarono a Marina di Bibbona, c’erano anche Di Maio e Fico, e spingevano per modifiche allo statuto, ma in realtà hanno fallito perché, come certificato dal tribunale, erano illegittime”, sottolinea l’attivista.

Anche nel centrodestra, che si è disciolto come neve al sole dopo la rielezione del presidente Sergio Mattarella, continuano a volare gli stracci. Sia Forza Italia che Matteo Salvini e la sua Lega vanno giù duro contro Giorgia Meloni: “Io cerco di giocare di squadra, ma non per tutti è così. Meloni? L’ho vista alcune decine di volte. Non sono salito da lei durante le votazioni? Non amo divulgare i contenuti dei messaggi, non è di buon gusto. Io vado oltre nonostante la sequela di insulti che ho avuto, ma non sono permaloso“, ha detto il leader della Lega, che poi ha promesso di chiamare Meloni. Getta acqua sul fuoco Renato Schifani di Forza Italia: “L’elezione del presidente della Repubblica ha fatto emergere tutte le criticità derivanti dalla diversa posizione dei partiti del centrodestra rispetto al Governo Draghi, ma l’unità della coalizione è un patrimonio da salvaguardare a tutti i costi. Ecco perché ogni partito è chiamato ad anteporre il comune sentimento del territorio alle incomprensioni recentemente esplose”, ragiona Schifani. Ma i Fratelli d’Italia restano in silenzio.

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