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Rabbia nascosta nei bambini: ecco lo studio per intercettarla

L'obiettivo è rilevare dei nuovi indicatori precoci di rischio per l'accumulo di rabbia andando a riflettere su un uso più o meno sano che i bambini fanno l'aggressività attraverso la somministrazione di test da parte dei pediatri, che misurano l'aggressività nei minori

Pubblicato:07-02-2018 14:55
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:27

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ROMA – Evitavano di guardarmi negli occhi, ma quando i nostri sguardi si incrociavano avevo sempre la sensazione di mettere il dito in una piaga. I loro occhi erano pieni di rabbia, eppure loro ne erano inconsapevoli’. Federico Tonioni, dirigente medico Uoc Psichiatria del Policlinico Gemelli e responsabile dell’ambulatorio Dipendenze da internet nel medesimo ospedale, racconta dei bambini e degli adolescenti dai 9 ai 22 anni che incontra nel suo lavoro, in occasione del convegno ‘La rabbia che non si vede. Prevenire la psicopatologia in età infantile’. Oggi, infatti, lo psichiatra ha presentato a Roma lo studio biennale ‘La rabbia che non si vede’ promosso dal Centro Pediatrico interdipartimentale per la Psicopatologia da web del Policlinico Gemelli, in collaborazione con i pediatri di base della provincia di Roma e del Lazio della Federazione italiana medici pediatri (Fimp), sostenuto dalla Comunità Incontro Onlus insieme a Valeur Foundation, e con i patrocini dell’Associazione nazionale presidi e della Onlus ‘Tra gioco e realtà’.

L’obiettivo è rilevare dei nuovi indicatori precoci di rischio per l’accumulo di rabbia andando a riflettere su un uso più o meno sano che i bambini fanno l’aggressività attraverso la somministrazione di test da parte dei pediatri, che misurano l’aggressività nei minori

‘I minori spesso provano emozioni che non riescono a riconoscere come rabbia. È importante sottolinearlo- continua lo psichiatra Tonioni- perché nella riabilitazione il primo passo è riuscire a dare un nome a quello che loro sentono e che poi sono chiamati a gestire. Quando un bambino gattona non c’è paura nei suoi gesti, ha una spinta irrefrenabile che coincide con la sua spontaneità. Io la chiamo sana aggressività, che lo aiuta a fare esperienza, ovvero a scoprire qualcosa per la prima volta‘. L’esperienza, secondo Tonioni, coincide con la vita: ‘È la stessa energia che attiva un adolescente nel farlo uscire di casa dagli 11 anni in poi. Può anche essere, tuttavia, la stessa energia che, se trattenuta, si tradurrà nella paura di uscire di casa. Per questo motivo nell’ambulatorio ci occupiamo di ritiro sociale’.

Come aiutarli?

‘I bambini non devono rimanere soli- risponde Tonioni- Tutto quello che fanno per la prima volta lo fanno con serietà, è come nuotare dove non si tocca, e cercano sempre lo sguardo di un adulto. È importante che ci sia una presenza viva, così che quando il bambino cercherà lo sguardo di un adulto lo troverà. Sarà proprio negli occhi del genitore presente che risiederà la risposta’. Così, se l’adulto mostrerà paura, il bambino leggerà ansia e quell’esperienza non gli servirà per crescere. Mentre se il genitore accompagnerà questa energia, allora ‘ne conseguirà un sentimento bellissimo: la meraviglia. E quell’esperienza- spiega l’esperto- sottolineerà l’acquisizione di una nuova competenza’.


Di fatto al giorno d’oggi ‘è cambiata la nostra disponibilità fisica a stare con i figli

L’era digitale, iniziata con i telefonini, ha cambiato in noi adulti il concetto stesso di tempo. Il tempo digitale è più intenso e ci ha reso piu compulsivi- spiega il medico- ha reso la nostra capacità di attesa una perdita di tempo. Anche lo spazio è mutato, quello digitale si misura con la connessione ed è venuta meno la capacità di stare da soli. I nostri figli non conoscono la possibilità di stare da soli come potenzialità di evoluzione’. Nell’ambulatorio Dipendenze da internet del Gemelli, fa sapere ancora Tonioni, ‘ci occupiamo anche dei genitori e li aiutiamo ad andare in crisi. Se c’è un adolescente da un lato, deve esserci un genitore in crisi dall’altro’.

Le regole aiutano?

‘Dobbiamo sempre chiederci a che servono?- replica Tonioni- Le regole non devono servire mai a vincere sui figli. Un figlio sconfitto non cresce. Chi è costretto ad ubbidire matura rabbia. Le regole devono quindi innescare delle trattative’. Lo psichiatra propone quindi di ‘cambiare la sintonia e la frequenza dei nostri contenuti. I giovani memorizzano, si concentrano, si distraggono e pensano diversamente. Oggi esiste un linguaggio per immagini. Cosa accade se il Nintendo, il tablet e la PlayStation sono date dai genitori ai bambini piccoli in senso sostitutivo e mai condiviso? Parliamo di autentiche babysitter che permettono ai genitori di poter lasciare lì i figli e riposarsi non pensandoli. Non sentiamoci in colpa se non vogliamo pensarli. La distanza più sana tra genitori e figli non è mai il controllo ma la fiducia’. Se i telefonini sono posti come una ‘nuova forma di assenza genitoriale, allora questi non permetteranno la realizzaizone di una esperienza di crescita. L’energia trattenuta nei bambini– prosegue il medico- può avere destini diversi ma sempre disfunzionali. Può essere somatizzata a due livelli: fragilità costituzionale, la tendenza quindi ad ammalarsi sempre prima delle occasioni di massima socialità (gita scolastica o feste), oppure si tende a sviluppare una ideazione ipocondriaca’.

Lo psicanalista Eugenio Gaddini parla di ‘fantasie nel corpo per indicare la psicosomatica, e fantasie sul corpo riferendosi all’ipocondria

I ritirati sociali che giocano alla PlayStation fino a 18-20 ore al giorno hanno nelle fantasie sul corpo delle ipocondrie- rivela Tonioni- pensano di avere una malattia grave, di potersi ammalare di tumore. Anche il rapporto con il cibo prende le forme della voracità in luogo della fame‘. Fermano il ‘movimento e le emozioni, che sono le due polarità dell’esperienza’. Il medico ricorda anche che ‘una quota della energia inespressa nei bambini viene rivolta alla cognitività.

Oggi c’è quasi un furore diagnostico sui disturbi dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disgrafia)

O ancora l’operatività. Basti pensare che ho tanti pazienti adolescenti che in realtà non escono di casa ma hanno una diagnosi di iperattività infantile. Quello che gli è rimasto in comune tra infanzia e adolescenza- fa sapere- è magari una mamma depressa di cui da piccolini la loro iperattività provava a prendersene cura’. Sono complessi tutti questi aspetti e ‘dobbiamo stare molto attenti a fare diagnosi sui bambini. Le diagnosi fanno fatte, ma vanno usate non per fare la guerra ai sintomi che poi si spostano con facilità e ci confondono. Dobbiamo rendere tollerabile il sintomo per attivare la mente terapeutica dei bambini. La mente tende a trovare il suo equilibrio. Quindi dobbiamo agire sui sintomi per aiutare i bambini a renderli tollerabili e attivare le loro risorse, che sono molto più potenti di mille rimedi e farmaci’, afferma il medico.

Lo studio biennale ‘La rabbia che non si vede’, intanto, prevede la somministrazione di un test applicato in maniera diversa a 5 fasce di età: 0-3 anni; 3-6 anni; 6-9 anni; 9-11anni; 11-14 anni

‘Quest’ultima fascia di età rappresenta l’entrata nell’adolescenza, l’inizio della crisi, ed è quella in cui avviene l’abbandono scolastico. Sono dei test che nei bambini più piccoli saranno somministrati direttamente ai genitori. Sarà divertente vedere- riflette lo psichiatra- come gli adulti si immaginano i figli ancor prima della loro nascita. Chiunque è anche il prodotto di come i genitori lo hanno immaginato, il problema è se rimaniamo solo questo prodotto. C’è un terzo spazio fondamentale dove poter emergere fra la pressione delle due immagini genitoriali, ed è quando i genitori si chiedono ‘Ma da chi ha preso?’. Ecco quando c’è questa domanda, allora un bambino è se stesso’. Nelle altre fasce di età, infine, sarà importante vedere come giocano, quanto giocano, che percezione hanno delle regole e di loro stessi. ‘Se hanno la tendenza a vincere o a perdere in un gioco. Negli adolescenti, invece, si passerà alle relazioni sociali che avvengono nel gruppo dei pari e si guarderà all’uso che viene fatto dell’aggressività– conclude Tonioni- che non è un’energia da reprimere o da contenere, ma da accompagnare perché dà vita e alimenta le esperienze’.

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