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L’appello dei rifugiati bloccati nell’hotel di Djokovic: “La nostra libertà conta”

Pubblicato:07-01-2022 12:48
Ultimo aggiornamento:07-01-2022 15:18
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Djokovic_rifugiato
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ROMA –  Il tennista serbo Novak Djokovic sta sperimentando sulla propria pelle la stessa esperienza che vivono, in alcuni casi da anni, decine di richiedenti asilo bloccati in Australia. Ne approfitti, il numero uno al mondo del ranking Atp, per “sensibilizzare l’opinione pubblica sulle loro condizioni”. È questo il cuore dell’appello che stanno rivolgendo allo sportivo diversi attivisti e alcuni degli stessi rifugiati che si trovano nell’hotel di Melbourne dove il tennista è stato trasferito ieri.

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Craig Foster, ex calciatore in prima linea nella difesa dei diritti dei richiedenti asilo che vengono trattenuti in centri di detenzione dal governo australiano, ha rilanciato sui suoi canali social l’appello in video di Mohammed Joy, profugo che vive da due anni nel Park Hotel di Melbourne dove si trova lo sportivo.


“Djokovic è stato qui per nove ore, forse saranno nove giorni”, dice Joy, “noi siamo stati maltrattati dall’Australia per nove anni, solo perché siamo venuti qui con la nave, e non con l’aereo“. “Vogliamo la libertà”, aggiunge il richiedente asilo alla fine del suo messaggio. Djokovic si è recato in Australia per partecipare agli Open di tennis locali, tra i tornei principali della stagione tennistica, nel pieno delle polemiche scatenate dal fatto di aver ricevuto un’esenzione dal vaccino contro il Covid-19, altrimenti obbligatorio per poter partecipare alla gare.

Sbarcato all’aeroporto di Melbourne lo sportivo, noto per le sue posizioni contrarie alla somministrazione del vaccino, è stato trasferito al Park Hotel perché non in regola rispetto alla norme anti Covid-19 e quindi non in condizioni di ottenere il visto d’ingresso nel Paese. Il tennista è ora in attesa di sapere se verrà rimpatriato, mentre diversi suoi sostenitori si sono radunati davanti all’hotel dove è trattenuto. Da anni decine di attivisti organizzano sit-in davanti alla stessa struttura per protestare contro le condizioni in cui sono tenuti i richiedenti asilo. Le immagini di queste ore hanno indignato quindi diversi attivisti. Tra questi lo scrittore e giornalista curdo di cittadinanza iraniana Behrouz Boochani, rifugiato in Nuova Zelanda. Il cronista, che ha raccontato la sua esperienza in un centro di detenzione off shore sull’isola di Manus in un libro che ha vinto numerosi premi internazionali, ha scritto su Twitter che “in un mondo migliore il mondo sarebbe in ansia per le immagini dei migranti detenuti da quasi dieci anni nello stesso albergo” dove si trova Djokovic, e non per le sorti del tennista. 

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