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Il dilemma degli operai Embraco: accettare 7.000 euro o dare battaglia legale?

Il 22 gennaio scadrà la proroga della cassa integrazione e scatteranno i licenziamenti per i 391 operai di Riva di Chieri. I sindacati intanto pensano a una manifestazione al Mise per il 15 dicembre

Pubblicato:06-12-2021 18:41
Ultimo aggiornamento:06-12-2021 18:41

embraco operai
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TORINO – Meglio accettare subito pochi soldi o rischiare di perdere anche quelli in seguito? Il concordato preventivo ha messo i lavoratori Embraco davanti a questa scelta, che dovranno accettare o rifiutare. Lo spiega alla ‘Dire’ Ugo Bolognesi della Fiom di Torino, che racconta come in questi giorni si stiano svolgendo incontri tra lavoratori e sindacalisti per decidere cosa scegliere sul concordato preventivo, che destina a ogni lavoratore Embraco 7.000 euro lordi.


Per i 391 operai dell’industria di compressori per frigoriferi di Riva di Chieri il 22 gennaio scadrà la proroga della cassa integrazione e, a quel punto, saranno definitivamente licenziati: anche per questo i 7.000 euro a testa sono una magra consolazione, visto che si tratta di denaro proveniente da un fondo da 9 milioni che doveva servire per reindustrializzare l’azienda. Adesso, invece, a quanto pare i soldi dovrebbero finire in pagamenti destinati a fornitori e operai.


Oltre ai 7.000 euro lordi a testa, spiega Bolognesi, ci sono “le insinuazioni dei lavoratori” come “la tredicesima del 2019 e i giorni di ferie maturati”, tutte risorse che gli operai chiedono a Ventures, e che in teoria dovrebbero aggiungersi ai 7.000 “per un totale di 10.000 euro scarsi lordi a testa. Il concordato preventivo lo deve accettare il 90% dei lavoratori che dovranno firmare il verbale con Chieritalia dove rinunciano a qualsiasi controversia”, spiega Bolognesi. Ora le alternative sono due: dare battaglia legale o accettare la propria quota.



“Stamattina abbiamo incontrato il primo gruppo di operai, domani gli altri. Li stiamo informando per fargli fare una scelta consapevole”, precisa il sindacalista. D’altronde, “per andare a fare la guerra a Whirpool devono essere pronti a buttare 10.000 euro“, spiega senza mezzi termini Bolognesi. E potrebbe non essere la scelta giusta, anche perché “i legali ci hanno messo in guardia”. Tuttavia, non sono solo le difficoltà legali a frenare operai e sindacalisti, ma c’è anche il logoramento: le proteste collettive vanno avanti da troppo tempo, e tanti iniziano a essere stanchi. “Nell’ultima manifestazione eravamo una cinquantina. Molti non ci credono più e non mi sento di biasimarli“, puntualizza il rappresentante Fiom.

Quel che c’è da osservare è invece il fatto che dal ministero dello Sviluppo economico non è mai arrivata la convocazione che i sindacati chiedono da tempo. Proprio per questo, secondo la logica di Maometto e della Montagna, le sigle si stanno mettendo d’accordo per andare a protestare davanti alla sede del ministero: “Il 15 dicembre stiamo pensando di autoconvocarci a Roma, le organizzazioni sindacali sono tutte d’accordo – osserva Bolognesi – visto che delle donazioni ci sono state, i pullman riusciamo a prenotarli”. Ma ormai sembra proprio che una soluzione dal Mise i sindacati non se la aspettino più.

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