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‘Ora ti curo io’, il diritto di morire secondo Marina Ripa di Meana

Il libro scritto a quattro mani con Marino Collacciani è stato presentato ieri sera a Roma all’Universita’ eCampus.

Pubblicato:06-12-2018 10:13
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:52
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ROMA – “Provocatrice, padrona e geisha, libera. Amava vivere nel divenire”. È il ritratto di Marina Ripa di Meana così come la immortalano le pagine di ‘Ora ti curo io. Ho preso il cancro per le corna’ (Cuzzolin), che lei stessa ha scritto a quattro mani con Marino Collacciani. Il libro è stato presentato ieri sera a Roma all’Universita’ eCampus alla presenza, tra gli altri, di Adriana Bonifacino, senologa del S. Andrea e presidente di IncontraDonna onlus, Paola Notargiovanni, psicologa del Sant’Andrea, l’editore Maurizio Cuzzolin e l’avvocato Cataldo Calabretta

“Diritto di morire, sedazione profonda- sottolinea Marino Collacciani, giornalista e coautore del libro- in una parola la scelta di Marina tocca il vivo della cronaca del nostro Paese. E’ questa la notizia contenuta in queste pagine”. Dopo la diagnosi di cancro al rene nel 2001 Marina Ripa di Meana, come racconta se stessa nel libro e attraverso le testimonianze raccolte, ha sempre sottolineato il valore dell’approccio psicologico alla malattia, affrontata per 17 anni.


“Due mesi prima di morire non e’ mancata al mio compleanno- ha ricordato Collacciani- Il libro doveva uscire con lei in vita ed è l’ultimo a sua firma. È ricorsa alla sedazione profonda, bypassando il vuoto legislativo o epiloghi come quelli di Dj Fabo. Ha aperto un varco alla possibilità che non si sia costretti ad andare in Svizzera”. 

“Con IncontraDonna onlus, associazione al fianco dei pazienti oncologici- ha dichiarato la presidente e senologa Adriana Bonifacino– aiutiamo, ma soprattutto formiamo i pazienti. La storia di Marina Ripa di Meana ci ricorda sia che oggi con il cancro si puo’ vivere anche a lungo e soprattutto che della morte si deve parlare, non va rimossa. Dobbiamo pacificarci con il discorso della morte. I pazienti e anche i loro familiari vanno guidati alla rinconciliazione con quel momento estremo in cui non c’è guarigione. Un paziente terminale non può morire in un pronto soccorso- ha concluso Bonifacino- C’e’bisogno di un passaggio culturale, prima ancora di parlare di testamento biologico. Bisogna parlare di hospice, molti fanno ora assistenza attiva, di assistenza mirata che esiste e che assicura dignità al paziente terminale. Bisogna infine intervenire anche sulla territorializzazione dei servizi con i medici di famiglia”.

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