Disabilità intellettiva, lo sport come chiave dell’inclusione

Special Olympics punta su scuola e formazione: obiettivo diritti

Pubblicato:06-11-2024 16:15
Ultimo aggiornamento:06-11-2024 16:15

special olympics
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ROMA – “Lo sport può cambiare la società, e noi vogliamo rendere migliore la vita delle persone con disabilità intellettiva. Per secoli hanno avuto il peggio, condannati a morire, tenuti rinchiusi: ora devono avere il meglio, ossia gli istruttori e gli allenatori più formati affinché possano esprimere tutto il loro potenziale”. A parlare con l’agenzia Dire è Alessandra Palazzotti, direttrice nazionale in Italia di Special Olympics, organizzazione fondata nel 1968 negli Stati Uniti da Eunice Kennedy Shriver – filantropa e sorella del presidente americano John F. Kennedy – e oggi attiva in 200 Paesi per dare a persone di ogni età con disabilità intellettiva la possibilità di praticare sport.

Nel dicembre 1971 il Comitato olimpico degli Stati Uniti conferisce l’approvazione ufficiale all’organizzazione di usare il nome ‘Olympics’, e così oggi risulta il solo organismo ad essere autorizzato ad utilizzare questo nome. Nel 1988, inoltre, il Comitato olimpico internazionale riconosce Special Olympics come rappresentante degli interessi degli atleti con disabilità intellettiva, accettando di collaborare. Un lavoro, quello di Special Olympics, tutt’altro che secondario: nel mondo il 3% della popolazione ha una disabilità intellettiva: il 60% è definita lieve, il 30% è moderata e soltanto il 10% è classificata come severa o profonda. In Italia, rappresentano il 2,3%, pari a circa un milione e trecentomila persone.

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Con oltre 14mila beneficiari sparsi in tutto il territorio, Special Olympics promuove progetti dalle elementari alle superiori, fino alle università e le associazioni sportive, per facilitare l’inclusione tramite una strategia “semplice quanto efficace: proponiamo lo ‘Sport unificato- continua Palazzotti- una formula che in Italia è particolarmente vincente perché abbiamo scuole inclusive, frequentate anche da ragazzi con disabilità. Consiste nel formare squadre composte da atleti con e senza disabilità, questi ultimi definiti ‘atleti partner'”.

Un doppio binario che, da un lato, consente di “praticare sport come miglioramento personale” e dall’altro “abbattere le barriere dei pregiudizi: le persone con disabilità intellettiva – continua- sono percepiti come i più inabili. Ma il problema non sono le capacità, bensì le opportunità: da decenni vediamo che quando mettiamo i ragazzi nelle condizione di lavorare sulle proprie abilità, possono fare tantissimo. Si attiva un meccanismo positivo intorno alla persona che ha un impatto sulla società: è immediato nei bambini e nei giovani, che vedono ad esempio il loro compagno giocare a pallone con loro, ma anche sugli adulti”.

A cadere è “l’idea che non sappia fare nulla”. E poi gli atleti partner “hanno la possibilità di accedere a competizioni di livello internazionale a cui altrimenti magari non avrebbero mai avuto modo di partecipare”, come i prossimi Giochi mondiali invernali di Torino 2025, che in questa edizione sono stati assegnati all’Italia. “Porteremo un migliaio di atleti”, annuncia Palazzotti, “e poi ci saranno i World Summer Games 2027 a Santiago del Cile”. Fino al quarto anno delle superiori e a livello universitario poi, ai ragazzi viene proposto anche di diventare volontari, “un’esperienza che cambia la vita”, assicura la responsabile.
In Italia Special Olympics si occupa anche dell’integrazione di migranti e rifugiati. “Lo sport abbatte le barriere- ribadisce la direttrice nazionale- e quindi anche il colore della pelle, la religione o le origini nazionali non sono più percepite. Tante persone che ancora non parlano l’italiano si sono sentite accolte proprio iniziando gli allenamenti sportivi”.

A essere trascinate in questo meccanismo virtuoso sono anche le famiglie, che si sentono supportate: “Abbiamo genitori che più volte a settimana fanno decine di chilometri in macchina per portare i loro bambini in piscina o in palestestra, ed è importante che trovino il massimo della qualità”. Ma, soprattutto, insegnanti, allenatori e istruttori: “C’è fame di competenze” afferma Palazzotti, “perché il tema dell’inclusione si sta imponendo e noi ci lavoriamo da decenni”. Il tema degli impianti, che in Italia non ci sono sempre e ovunque per poter praticare le diverse discipline, non è dirimente: “Abbiamo bisogno di professionisti con una visione e soprattutto con competenze e strumenti” dice Palazzotti, “perché se mancano loro, la persona con disabilità intellettiva resterà comunque esclusa. Poco cambia se la palestra èa 20 chilometri o sotto casa”.

Special Olympics dedica quindi gran parte del suo lavoro alla formazione, e la risposta c’è: “Pochi giorni fa abbiamo organizzato un workshop online a cui si sono iscritti 700 professionisti da tutta Italia”, dice la dirigente, che conclude: “Non è questione di uguaglianza ma di pari opportunità. Lo sport dovrebbe essere un diritto, ma nella realtà ancora non lo è. Ma noi facciamo del nostro meglio” conclude.

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