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Allarme usura nel settore agricolo del Lazio: giro d’affari da 40 milioni all’anno

Presentato il rapporto di Coldiretti sulle agromafie, i dati peggiori nelle province di Roma e Latina.

Pubblicato:06-10-2022 16:31
Ultimo aggiornamento:06-10-2022 16:31

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ROMA – Nel comparto agricolo del Lazio si stima un tasso usuraio medio del 120% annuo, con un giro d’affari complessivo pari a 40 milioni di euro. Un dato molto più alto nelle province di Roma e di Latina, 15,5 e 13 milioni di euro, rispetto alle altre province, dove il giro d’affari è di 8 milioni a Viterbo, 2 a Frosinone e 1 a Rieti. È quanto emerge dal rapporto presentato oggi a Palazzo Rospigliosi da Coldiretti Lazio e realizzato dalla Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, in collaborazione con la Regione Lazio e il ministero della Transizione ecologica. Dal caporalato al lavoro nero, dall’usura alla presenza delle organizzazioni criminali, lo studio approfondisce una serie di fenomeni ancora presenti nel settore agricolo regionale, analizzando il fenomeno dell’illegalità e della criminalità nelle filiere agroalimentari e ambientali delle province del Lazio.

Alla presentazione del rapporto ‘Illegalità e criminalità nelle filiere agroalimentari e nell’ambiente delle province del Lazio’ hanno partecipato, tra gli altri, il magistrato Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Osservatorio Agromafie, il vicepresidente della Regione Lazio, Daniele Leodori, l’avvocato generale presso la Corte di Cassazione e coordinatore del gruppo di ricerca, Pasquale Fimiani, Riccardo Fargione del Centro Studi di Coldiretti ‘Divulga’, il maggiore Aldo Papotto, capo Divisione Gestione Risorse finanziarie, Pianificazione spesa e Controllo del Commissario di Governo Bonifica siti contaminati e discariche abusive e il giornalista Stefano Liberti. A chiudere i lavori il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri. La Fondazione Osservatorio agromafie, ha spiegato Caselli in apertura, “ha cercato negli ultimi anni di svolgere un’approfondita analisi per mettere in luce i progressi, ma anche quelli che sono gli elementi di criticità che ancora permangono lungo la filiera agroalimentare“.

LA FILIERA ‘AGROMAFIOSA’ NEL LAZIO


La crisi economica causata dal Covid -19, spiega Coldiretti nel rapporto, ha consentito alle mafie di radicarsi ancor più soprattutto nel settore della ristorazione, principalmente approfittandosi delle attività in difficoltà. La filiera ‘agromafiosa’, che condiziona il sistema di produzione agricolo e con esso l’intero network imprenditoriale collegato, coinvolge da tempo anche la ristorazione. Risulta particolarmente appetibile il settore agroalimentare del Lazio, che ricopre un ruolo rilevante nel panorama delle produzioni nazionali. Nella regione sono circa 50mila le imprese presenti, che forniscono lavoro a 70mila addetti tra occupati nelle coltivazioni agricole e negli allevamenti, nei servizi e nelle industrie alimentari, sia in termini di qualità e tipicità dei prodotti. La camorra è quella, tra le mafie tradizionali, secondo gli ultimi dati disponibili, a occupare una posizione di spicco su tutto il territorio regionale, con 85 aziende confiscate, pari al 26,4% del totale. Il suo principale settore di infiltrazione – si legge nel rapporto – è quello della ristorazione, che rappresenta tra bar e ristoranti il 58,5% del business criminale. Le aree di infiltrazione della ‘ndrangheta, che rispetto alla camorra ha un ventaglio di interessi più variegato e meno legato al comparto della ristorazione, sono infatti principalmente nei settori connessi alle costruzioni, al comparto immobiliare, al commercio sia all’ingrosso che al dettaglio. I gruppi locali, autoctoni e autonomi, sono invece presenti in tutti i settori presi in considerazione, dall’immobiliare alle costruzioni e dal commercio alla ristorazione, fino a coprire insieme circa due terzi delle attività confiscate a tali organizzazioni. Quello della ristorazione costituisce anche per loro uno dei principali e più redditizi settori di investimento, rappresentando complessivamente il 16,36% del totale degli affari illeciti.

I NUMERI DEL CAPORALATO E DELLO SFRUTTAMENTO NEI CAMPI

Un focus importante dello studio riguarda il caporalato e lo sfruttamento del lavoro con un’alta concentrazione di casi soprattutto nell’Agro pontino e romano. Gli occupati nel settore agricolo nel Lazio annualmente registrati negli archivi dell’Inps – si legge – ammontano nel 2019 (ultimo dato disponibile) a 45.236 unità, come rilevato dai dati elaborati dal Crea-Pb (ministero delle Politiche agricole). Il sistema occupazionale che ne deriva mostra la prevalenza del lavoro svolto a tempo determinato su quello a tempo indeterminato, appannaggio, in maniera preponderante delle maestranze di origine immigrata (Ue e non Ue), superando in questo caso, seppur leggermente, il 90% (24.086 unità) degli impiegati. La restante quota svolge attività a tempo indeterminato (1.262 unità sul totale complessivo di 25.348). La distribuzione degli occupati a livello provinciale, a prescindere dalla nazionalità, vede 20.824 unità (il 46% dei 45.236 occupati in Regione) nella provincia di Latina, 11.627 (25,7%) nella Città metropolitana di Roma, 9.202 (20,3%) nella provincia di Viterbo, 2.006 (4,4%) in quella di Frosinone e 1.577 (3,5%) a Rieti. Per quanto riguarda il genere, il 72,5% degli occupati sono uomini e il restante 27,5% donne. I lavoratori agricoli sul territorio laziale sono soprattutto romeni, marocchini e albanesi, ma è anche significativa, soprattutto in provincia di Latina, la presenza di indiani (soprattutto quelli provenienti dal Punjab), nonché tunisini e bangladesi. Per i braccianti sfruttati e vittime di caporalato si va da lunghi orari di lavoro giornaliero alla bassa retribuzione, che è in genere minore di circa un terzo/la metà, dunque intorno ai 500/700 euro invece di circa 1.100/1.200, senza nessuna considerazione per le competenze professionali.

GRANIERI: “CRISI ECONOMICA PANDEMIA DEVASTANTE PER AGROALIMENTARE”

“La crisi sociale ed economica determinata dalla pandemia ha avuto un impatto devastante sul comparto agroalimentare. Le inevitabili chiusure per lunghi periodi imposte dal lockdown hanno pesato su ristoranti e bar, mentre l’inflazione ha fatto lievitare i prezzi del cibo e il costo delle materie prime è notevolmente aumentato con una deflazione nei campi”, ha evidenziato Granieri. Aspetti che “hanno contribuito alla crescita di fenomeni come l’usura e hanno creato terreno fertile per le organizzazioni criminali che hanno sfruttato le difficoltà economiche di chi lavora in questo settore. E’ fondamentale continuare a svolgere un attento monitoraggio, così come la Fondazione Osservazione Agromafie sta facendo, mantenere alta l’attenzione sui fenomeni mafiosi e svolgere azioni investigative e giudiziarie di contrasto”, ha concluso il presidente di Coldiretti Lazio.

LEODORI: “AL LAVORO INSIEME PER CONTRASTARE LE INFILTRAZIONI”

“Quello di oggi è stato un momento di confronto molto interessante e utile per pianificare gli obiettivi futuri che come istituzione dovremo darci nei prossimi anni, anche e soprattutto in vista della programmazione dei nuovi fondi europei 2021-2027, puntando sulla sostenibilità e sull’internazionalizzazione delle nostre aziende”, ha commentato Leodori. L’agroalimentare, ha spiegato, “è uno dei settori strategici del nostro Paese e della nostra economia, e ringrazio Coldiretti Lazio e Granieri che ci pungolano ogni giorno perché le cose da fare sono tante. Voglio sottolineare anche la sinergia tra la Regione e la Fondazione Osservatorio Agromafie, uno strumento utilissimo per monitorare un settore fondamentale ma ad alto rischio infiltrazione”.

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