
BARI – “Vedere un ragazzino chiuso in una cella spoglia, nuda fa sempre un effetto strano. Sta vivendo una situazione drammatica: e’ in isolamento, solo. Ma quel deserto in cui e’ immerso lo aiuta a concentrarsi su se’ stesso e ad ascoltarsi. In fondo la cella concede uno spazio da cui non si puo’ fuggire e in cui incontri te stesso”. Don Sandro D’Elia, 53 anni di cui 30 con la tonaca, e’ il cappellano del carcere di Lecce e racconta cosi’ alla Dire l’incontro con Antonio De Marco, lo studente di 21 anni di Casarano che ha confessato di aver assassinato a Lecce, lo scorso 21 settembre, l’arbitro 33enne Daniele De Santis e la sua compagna, Eleonora Manta.
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Il sacerdote ha incontrato il 21enne venerdi’ e sabato scorsi. È stato lui a chiedere di vederlo. “Sono i detenuti che richiedono un incontro per confessarsi, per motivi personali o esigenze precise come avere un bagnoschiuma”, spiega don Sandro e aggiunge: “venerdi’ Antonio ha voluto confessarsi”. Le e’ parso sincero durante la confessione? “Si'”, risponde secco don Sandro. Che impressione le ha fatto? “È un ragazzo intelligente e razionale e venerdi’ al nostro primo incontro, l’ho trovato stordito piu’ che confuso“, replica il cappellano che da nove anni frequenta l’istituto penitenziario leccese. “Sabato sono tornato con la direttrice del carcere: gli abbiamo dato due libri di narrativa anche se credo non abbia molta voglia di leggere”, prosegue e annuncia: “Tornero’ a trovarlo”.
“L’orologio – spiega il sacerdore rispondendo alla domanda sulla durata dei colloqui – non esiste e il concetto di tempo e’ relativo in carcere. A volte in cella tra me e il detenuto si crea un rapporto particolare, basato sulle confidenze“.
“Credo – aggiunge – che debba passare del tempo per capire davvero chi e’ Antonio”. Gli ha lasciato qualcosa? “Si’, un Vangelo e un rosario e lui mi ha chiesto come si sgranasse e gliel’ho spiegato“.
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