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Le calciatrici di Herat in salvo a Firenze: “Aiutate i nostri cari rimasti in Afghanistan”

Tre sportive e il loro allenatore hanno viaggiato in incognito per raggiungere la Toscana, ma sono preoccupati per chi non è riuscito a salire sugli aerei militari

Pubblicato:06-09-2021 19:52
Ultimo aggiornamento:06-09-2021 19:52
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calciatrici di herat a firenze
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FIRENZE – La passione per il calcio si è fatta viva a dieci, dodici anni, guardando le partite in Tv. Poi i primi calci al pallone con gli amici e le amiche, finché è nata un’opportunità: una vera squadra femminile, ad Herat, “dove dimostrare il nostro potenziale. Abbiamo cominciato così”. Un racconto semplice ma gigantesco, perché è successo in Afghanistan prima che i talebani incenerissero questa storia che, annodandosi alla questione dei diritti umani, va ben oltre il sogno sportivo. Prima che rimanesse solo la fuga come progetto per il futuro.

Questa fiaccola di speranza oggi è custodita a Firenze, dove da qualche giorno sono arrivate tre calciatrici e il loro allenatore. E nel giorno in cui il Comune fa il punto su questa operazione coinvolgendo tutti gli attori in campo (Caritas, Cospe, Figc, Università Europea), si presentano a Palazzo Vecchio vestite con la tuta rossa e bianca del San Paolino Caritas. La stessa che indossa il sindaco Dario Nardella, che le accompagna.

Due giocano in difesa, una in attacco e in testa hanno il velo, l’hijab che forse toglieranno, dicono, anche se ancora non l’hanno deciso. Da sportive preferirebbero parlare di calcio (“siamo sportive e lo sport, come l’arte, può portare tutto l’ambiente più avanti”), non di politica. Ma è impossibile. Così il mister racconta il viaggio per raggiungere prima Kabul, poi l’Italia: “Herat-Kabul è durata 24 ore in cui non abbiamo mai dormito“. Stare in strada “era molto pericoloso”. Per questo, hanno viaggiato in incognito, “senza che nessuno capisse che fossero giocatrici”. Arrivati a Kabul “abbiamo perso la speranza, perché le persone erano davvero tante”. Poi sono entrati in contatto con le autorità italiane che gli hanno fornito un codice, “il nostro gancio” per l’Italia e la Toscana.


Da quando siamo entrati siamo al sicuro, ci sentiamo bene. Prima non potevamo vivere così tranquillamente. Avevamo tanta paura per talebani, e ne abbiamo ancora”, dice una delle ragazze. Ma ora “potremo continuare gli studi”, aggiungono insieme. Ovvero proseguire in scienze politiche o scienze informatiche, immaginano, oppure cominciare da letteratura italiana. Scrivere un capitolo nuovo “avendo una vita felice e in sicurezza” tra università, lavoro e chiaramente calcio: già la prossima settimana saranno a Coverciano, dove comincia il raduno della nazionale femminile, assicura per la Figc Renzo Ulivieri.

Una speranza nuova, costretta però a fare i conti con la “la tristezza nel cuore” per chi non è riuscito a salire negli aerei militari. Con loro a Firenze, infatti, ci sono anche alcuni familiari, ma non tutti. Così il mister prende la parola per chiedere alle autorità italiane di agire “perché siamo molto preoccupati” per i cari rimasti in Afghanistan. Queste ragazze, aggiunge, “hanno fatto dei sacrifici per arrivare qui, per aprire la strada ad altri”. E oggi, mentre auspicano di vivere “in una società libera”, lanciano anche un messaggio rivolto al mondo. Perché ora “le donne non hanno il permesso di lavorare, hanno difficoltà a studiare e non hanno diritti umani. La situazione non è buona, è molto difficile e pericolosa”, conclude.

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