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Green pass obbligatorio a Bologna. I ristoratori avvertono: “Non si legge? Non entri”

Clienti e turisti hanno tutti il Qr code, ma in alcuni casi non viene rilevato dall'app o risulta scaduto e per loro niente da fare: non possono essere accolti

Pubblicato:06-08-2021 17:55
Ultimo aggiornamento:06-08-2021 17:56
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primo giorno green pass a Bologna
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BOLOGNA – Pronti, via, esibisca il green pass. A Bologna, la mattina del primo giorno in cui scatta l’obbligo di mostrare il documento che attesti di aver fatto il vaccino contro il Covid o almeno un tampone dall’esito negativo è filata via senza particolari intoppi, o quasi. Che si tratti di turisti in visita ai monumenti, o clienti in fila per entrare a ristorante, questi ultimi pochi in realtà, complice il bel tempo e l’ampia offerta di dehors della città, sono tutti muniti del documento.

“È tutto a posto, controlliamo anche il documento di identità. Per ora sta andando tutto bene, tutte le persone sono munite del green pass, non abbiamo problemi”, riassume Diego Frassinella di Bologna Welcome, davanti all’ingresso della torre degli Asinelli, con la fila di turisti davanti. Anche al museo dell’Archiginnasio, una coda sparuta procede sfilando davanti all’addetta munita di tablet che controlla i codici.

I problemi iniziano ad arrivare quando l’app per scansionare il qr code fa i capricci. “Abbiamo appena scoperto che con gli americani è quasi impossibile perché loro hanno un documento che non viene letto dall’app spiega Fabio Rodda, titolare dell’Osteria dell’Orsa di via Mentana- con dei signori italiani abbiamo dei problemi perché risultano scadute anche se appena fatte, quindi c’è qualche difficoltà“. Per il gestore però, almeno per il momento, c’è la scusante. “È il primo giorno, poi speriamo che il tutto si velocizzi e tutti si abituino ad averlo pronto“.


Sicuramente, di fronte a eventuali problematiche o difetti ‘elettronici’, la linea è quella della fermezza. Se il green pass non viene letto infatti, il cliente dovrà per forza di cose rimanere a bocca asciutta, a costo di rimandarlo a casa. “Io rischio 10 giorni di chiusura, quindi non se la devono prendere con me ma con il governo italiano- spiega ancora Rodda– io faccio tutto quello che il governo mi dice di fare. Se il tuo green pass è giusto e valido ma non viene letto, purtroppo non posso farci niente“. Ribadisce il concetto: “Con 10 giorni di chiusura poi siamo morti. Noi siamo costretti ad attenerci, non l’abbiamo deciso noi, non l’abbiamo chiesto noi, ci adeguiamo, chiediamo che i clienti lo capiscano e collaborino invece che arrabbiarsi perché così è solo un ulteriore danno a noi”.

E fermezza ci vorrà anche per evitare discussioni o sofismi di sorta che potrebbero nascere sulla soglia della porta d’ingresso. “Cercheremo di essere abbastanza rigidi perché se andiamo a trattare l’argomento non finisce più, ho detto ai miei ragazzi di essere molto decisi perché tutti lo sanno, sicuramente verrà qualcuno a fare un po’ di … (casino, ndr)”, chiosa Giovanni Tamburini, titolare della storica salsamenteria di via Orefici.

Certo, l’obbligo del green pass è una misura drastica, che però “se mi permette di lavorare e non chiudere, dopo due anni di chiusura, va benissimo. Se mi fa perdere tempo ma resto aperto, va bene. Ovviamente dev’essere fatto nell’ottica di non chiudere mai più, questo è il ragionamento”, prosegue Rodda. La fiducia però, è poca, “visto come si sono comportati entrambi i governi che si sono succeduti durante la pandemia”, con le loro “promesse mai mantenute”. Ma “la speranza è tanta quindi ben venga il green pass se non mi fanno chiudere mai più”.

Inoltre serpeggia un po’ di malumore per aver scaricato l’operazione di controllo direttamente sui gestori dei locali. “È una complicanza in più. Abbiamo già tanti problemi in questo periodo e stare a fare anche i controllori di questa cosa qua è un aggravio della situazione, secondo me- sottolinea Federico Spolaore, titolare dell’Osteria del sole di vicolo Ranocchi- bisogna un attimo prenderci un po’ la mano. Chiaro, bisogna mettere qualcuno all’ingresso che scansiona i qr code, quindi è sempre lavoro in più. È giusto farlo, però io dico che non compete ai gestori dei locali dover fare da sceriffi per sapere se uno è vaccinato o meno. Il nostro lavoro è dare da bere, far star bene la gente, e non stare addosso alla gente”.

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