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La Russia dice sì alla Turchia per un “corridoio del grano” da Odessa

L'accordo consentirà alle navi di lasciare il porto della città ucraina attraverso il Mar Nero e raggiungere i mercati internazionali: le forze militari turche si occuperanno di sminare le acque e scortare le imbarcazioni

Pubblicato:06-06-2022 18:28
Ultimo aggiornamento:07-06-2022 13:24

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ROMA – È stato raggiunto un accordo preliminare tra la Russia e la Turchia per un “corridoio del grano“, che consentirà alle navi di lasciare il porto di Odessa attraverso il Mar Nero e raggiungere i mercati internazionali. L’intesa giunge a tre giorni dalla visita del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ad Ankara, atteso dalle autorità turche per discutere del blocco che il Cremlino ha imposto all’export di grano ucraino da oltre tre mesi.

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Come si apprende dalla stampa internazionale, “nelle acque territoriali del Paese vicino, le forze militari turche assumeranno l’incarico di sminare” le acque attraverso cui le navi cargo passeranno, nonché “scortare le navi stesse fino alle acque neutrali”. L’annuncio arriva alla vigilia della Giornata internazionale per la sicurezza alimentare, iniziativa promossa dalla Fao e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che sarà celebrata con una conferenza alle 11 con gli interventi dei direttori generali delle due organizzazioni Onu, Qu Dongyu e Tedros Adhanom Ghebreyesus.


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Eventi che sottolineano l’impatto che la guerra russo-ucraina sta avendo sull’accesso al cibo a livello mondiale. Come denuncia da mesi il Programma alimentare mondiale (Pam/Wfp), se la pandemia ha vanificato molti dei traguardi raggiunti negli ultimi vent’anni nella lotta alla fame, portando a 276 milioni la quota di persone che non hanno accesso al cibo, il conflitto ucraino sta peggiorando la situazione, aggiungendo a tale cifra altre 46 milioni di persone.

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I combattimenti in Ucraina da un lato e le sanzioni che i Paesi occidentali hanno imposto sulla Russia dall’altro hanno infatti determinato un drastico stop alla produzione e all’export di grano, facendo impennare i prezzi dei prodotti di base e mettendo in seria difficoltà le nazioni più dipendenti dal grano russo e ucraino, che in parte coincidono proprio con quelle economicamente più arretrate.

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Così, l’aggressione russa all’Ucraina non resta confinata all’emergenza umanitaria ucraina né al contenzioso diplomatico con l’Occidente, ma tira in ballo la sicurezza alimentare mondiale, con i belligeranti che si scambiano accuse su attacchi ai silos carichi di grano. Le società statunitense Maxar Technologies nei giorni scorsi ha invece catturato delle immagini satellitari che dimostrerebbero che Mosca a fine maggio ha venduto alle autorità siriane oltre 30mila tonnellate di grano ucraino “rubato”.

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Mentre da Kiev denunciano il furto di 500mila tonnellate di materia prima, anche l’intelligence americana conferma questa pratica e fa sapere che Washington ha avvisato in via ufficiale 14 Paesi di non accettare grano trasportato da navi russe. Si tratta per lo più di Paesi africani, che si troveranno così a dover fare i conti con un dilemma: rimanere leali verso gli Stati membri Nato oppure cogliere l’opportunità di alleviare l’enorme domanda interna di pane e farina. La situazione è così grave che il presidente di turno dell’Unione africana Macky Sall ha chiesto di togliere qualche sanzione alla Russia per far ripartire il commercio.

Quanto alle immagini stallitari di Maxar Technologies, per la testata Middle East Monitor proverebbero che la nave cargo ‘Matros Pozynych’ è salpata da Sebastopoli, in Crimea, per raggiungere il porto siriano di Latakiya il 29 maggio scorso. Sollecitate dalle testate internazionali, le autorità di Damasco non hanno smentito la notizia, confermando che si tratta di una circostanza possibile dal momento che la Russia è il principale alleato di Bashar Al-Assad, che dopo undici anni di guerra deve anche alle truppe di Mosca il fatto di ricoprire ancora la presidenza della Siria. Un sostegno militare e politico, quello russo alla Siria, che ha però permesso a Mosca di installare delle basi militari nei pressi della città portuale di Latakiya e di ottenere così un avamposto commerciale, finanziario nonché diplomatico sul Meditarraneo e l’intera regione mediorientale.

Le sanzioni economiche che, a partire dal 2011, l’Occidente ha imposto sui vertici del regime siriano, accusati di crimini di guerra e contro l’umanità, hanno infatti risparmiato la Russia, che ha potuto invece inaugurare accordi di cooperazione economica con diversi paesi della regione. Tra gli ambiti di interesse per Mosca c’è l’industria bellica: nel 2017 il ministero della Difesa russo riferì in un report che oltre 600 nuovi sistemi d’arma russi erano stati testati nel conflitto siriano, una “vetrina” che aprì la strada a nuovi acquisti da parte di vari governi stranieri.

Come sostiene la testata Al Jazeera, il conflitto siriano permise inoltre a Yevgeny Prigozhin, oligarca russo soprannominato “lo chef di Putin” per i suoi legami col capo del Cremlino, di sponsorizzare la sua azienda di contractor ‘Wagner’. Recentemente la Commissione europea ha incluso il suo nome nella lista dei magnati russi colpiti da sanzioni. La sua vicenda ricorda però in che modo il mercato globale delle armi e la pratica di assoldare contractor alimenta il perdurare dei conflitti, altra dinamica che inasprisce la fame e le difficoltà alimentari a livello globale.

Sempre nel suo recente rapporto, il World food programme avverte che il 60% delle popolazioni a cui attualmente manca da mangiare si trova nei paesi colpiti da guerre o instabilità, tra cui in testa troviamo Siria, Yemen, Afghansitan, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Sud Sudan, Sudan e Nigeria.

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