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Ucraina, Rizzi (Soleterre): “Curiamo i bimbi colpiti dalle bombe con pelli artificiali”

"Eseguiamo dai cinque agli otto interventi al giorno. Duemila pazienti hanno lasciato il Paese"

Pubblicato:06-05-2022 17:48
Ultimo aggiornamento:06-05-2022 17:48

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ROMA – “È veramente complesso rispondere alla domanda per due ordini di motivi: il primo è perché il ministero della Sanità ucraino impedisce agli ospedali di comunicare il numero dei pazienti, il secondo è perché è davvero quasi impossibile calcolare i nuovi arrivi”. Così il presidente della Fondazione ‘Soleterre’, Damiano Rizzi, interpellato sul numero dei bambini colpiti dalle bombe ad oggi ricoverati negli ospedali dell’Ucraina, nel corso di una intervista video rilasciata alla Dire.

“I bambini arrivano in gruppi di 10-11 per volta- ha proseguito Rizzi- e vengono ricoverati negli ospedali e nelle strutture adiacenti. La sensazione che noi abbiamo è che continuano ad arrivare di continuo”.

Da non molto tempo ‘Soleterre’ si sta occupando anche di curare i bambini colpiti dalle bombe. Può raccontarci la storia di Artom?


“Artom è bambino ucraino di 4 anni che è stato colpito da una bomba e che ha una ferita da scoppio all’altezza della coscia. Il chirurgo italiano che sta operando per ‘Soleterre’ a Leopoli, Roberto Brambilla, mi raccontava che sostanzialmente ha dovuto trovare un modo per rimettere un muscolo meno utilizzato al posto di quello esploso, per cercare di evitare l’amputazione dell’arto. Tutto questo in un contesto in cui, purtroppo, nella sala operatoria dove si stava effettuando l’intervento sono caduti vicino dei missili. Anche l’altra notte Leopoli è stata attaccata, quindi è saltata la luce e nell’ospedale si lavorava con i generatori, in condizioni davvero complicate. Nonostante questo siamo riusciti a far arrivare l’attrezzatura adatta per fare in modo che per Artom e per gli altri bambini feriti, che sono purtroppo tanti e che arrivano da Mariupol o dalle altre aree più colpite dove si sta combattendo, si possano avere non solo delle cure ma le migliori cure possibili. Il chirurgo Brambilla, tra l’altro, ha contributo a portare in Ucraina la vulnologia, cioè la disciplina di cura delle ferite, e mi raccontava che in Italia ha curato delle ferite di pazienti ancora aperte dalla Seconda guerra mondiale. In alcuni casi, infatti, queste ferite non si cicatrizzano, soprattutto quando sono particolarmente estese”.

State lavorando anche con dei materiali di pelli artificiali, quindi?

“Sì, ma anche con altri prodotti che abbiamo acquistato e fatto arrivare a Leopoli, per poter ‘costringere’ i tessuti a riprodursi. Tra l’altro è una tecnica molto veloce che permette in poco tempo di riavere le parti molli colpite riprodotte in maniera naturale, attraverso le cellule staminali del paziente. È un progetto del tutto nuovo e molto intenso dal punto di vista esistenziale, perché vedere dei bambini di pochi anni, come una bambina di tre resa tetraplegica da una scheggia che si è inserita nella colonna vertebrale, con altre conseguenze come le amputazioni, è davvero difficile. Sembra tutto irragionevole e occorrerebbe prima rispondere ad una domanda, cioè perché una bambina di tre anni, che è a casa sua, nel posto in cui è nata, deve ritrovarsi a condividere la vita con quel che resta di una bomba? Anzi, mi verrebbe da dire ‘con quel che resta di una bimba’”.

Quanti interventi effettuate al giorno su bambini colpiti dalle bombe?

“Dai cinque agli otto interventi al giorno”.

La Onlus che dirige da 19 anni, intanto, è impegnata in Ucraina al fianco dei bambini malati di tumore. Ma come è cambiata la situazione oggi?

“In Ucraina oggi non ci sono le condizioni per curare il tumore, perché le principali città in cui ci sono gli ospedali oncologici più importanti e attrezzati sono periodicamente interessate da attacchi e bombardamenti. Le sirene e gli allarmi antiaerei suonano costantemente e teoricamente, in quei momenti, i medici dovrebbero staccare dalle pompe di infusione delle chemioterapie i bambini, cosa che ovviamente è molto complessa e non sempre si può fare. Questo perché quando i bambini vengono staccati dai macchinari rischiano di morire per eventuali bombe, mentre quando vengono portati negli schelter (ripari, ndr) non si possono curare. In alcuni casi, poi, non è possibile evacuare i pazienti quindi continuiamo a comprare farmaci per fare in modo che i pazienti possano essere curati anche in Ucraina. Nel contempo sappiamo che dei circa 4mila pazienti presenti in Ucraina prima della guerra, oramai sono 2mila quelli che hanno lasciato il Paese. È questa è una buona notizia”.

Quanti sono i bambini ucraini che ospita l’Italia?

“Siamo intorno ai 120 pazienti ospitati in almeno 19 centri ospedalieri italiani”.

‘Soleterre’ offre ai bambini e alle loro famiglie anche supporto psicologico. Le rivolgo allora una domanda: per voi che operate sul campo, la guerra è ancora più assurda dal vostro punto di vista?

“Per chi si occupa di curare, vedere che deliberatamente viene generato dolore è qualcosa che mette a dura prova il pensiero. L’idea stessa di cura diventa in qualche modo la nostra idea di pace. Credo che le persone che si prendono cura delle altre non solo inorridiscano, ma si sentano ferite e addolorate quando qualcun altro soffre”.

Quando finirà secondo lei questo conflitto, che sensazione ha? “È molto difficile in questo momento dare una risposta, ma per quanto mi riguarda il conflitto è durato già fin troppo. E mi fa male vedere che molte persone, nella loro vita quotidiana, continuano ad adottare dinamiche aggressive e violente, così come mi fa male vedere chi parla della guerra senza provare quel dolore che sarebbe necessario provare. Qualcuno, anche se pensa di parlare della guerra, parla fondamentalmente di sé. E penso che questo non aiuti a comprendere quello che sta succedendo”.

Immagino si riferisca a qualche dibattito politico… Li trova inopportuni?

“Mi ha molto colpito vedere persone che si ponevano e si pongono il tema del gas del prossimo inverno, quando ci sono bambini feriti che hanno bisogno di aiuto. In questo momento è chiaro che la situazione è complessa e siamo tutti grandi abbastanza per comprendere che, quando ci sono in gioco gli interessi di tutti, ognuno bada ai propri. Però credo sia molto diverso avere a cuore le persone che adesso rischiano di morire piuttosto che il gas del prossimo inverno. Penso sia una questione di priorità. Basta osservare anche lo spazio che viene dedicato alla solidarietà in tv, di solito viene esattamente prima dei titoli di coda. E quando il mondo si sente vicino ai titoli di coda ha paura”.

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