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Tecniche militari per fotografare la terra ferita: gli scatti di Mosse in mostra al Mast

'Displaced" è la prima antologica del fotografo irlandese, e include i lavori più recenti realizzati nell'Amazzonia brasiliana

Pubblicato:06-05-2021 17:53
Ultimo aggiornamento:06-05-2021 17:53

09. Of Lilies and Remains, Congo Photo credit @Richard Mosse
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BOLOGNA – Tecnologie militari utilizzate per rivelare le ferite inferte all’ambiente e all’umanità dai conflitti, dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse e dalle migrazioni. Dal Congo all’Amazzonia fino al campo profughi di Skaramagas, che si confonde con i container ammassati al porto del Pireo, Richard Mosse porta i suoi scatti al Mast di Bologna da domani al 19 settembre. Si tratta della prima antologica del fotografo irlandese, che condensa in 77 immagini e quattro video-installazioni il lavoro degli ultimi anni. “Displaced” è curata da Urs Stahel e include i lavori più recenti della serie Tristes Tropiques (2020), realizzati nell’Amazzonia brasiliana. “Richard Mosse è estremamente determinato a rilanciare la fotografia documentaria, facendola uscire dal vicolo cieco in cui è stata rinchiusa. Vuole sovvertire le convenzionali narrazioni mediatiche attraverso nuove tecnologie, spesso di derivazione militare, proprio per scardinare i criteri rappresentativi della fotografia di guerra”, spiega Stahel.

Il fotografo inizia a occuparsi di fotografia nei primi anni 2000, mentre termina gli studi universitari. I suoi primi lavori scattati in Bosnia, in Kosovo, nella Striscia di Gaza, lungo la frontiera fra Messico e Stati Uniti sono caratterizzati dall’assenza quasi totale di figure umane. Solo nelle immagini che compongono la serie ‘Breach’ (2009), incentrata sull’occupazione dei palazzi imperiali di Saddam Hussein in Iraq da parte dell’esercito americano, sono presenti personaggi in azione. Questi primi lavori documentano le zone di guerra dopo gli eventi, non mostrano il conflitto, la battaglia, l’attraversamento del confine, ma il mondo che segue la catastrofe.

Le altre sezioni della mostra ‘Infra’ e ‘The Enclave’, documentano le missioni fotografiche di Mosse tra il 2010 e il 2015 nel Congo orientale, dove viene estratto il coltan, un minerale tossico da cui si ricava il tantalio, materiale che trova largo impiego nell’industria elettronica e che è presente negli smartphone. Una terra segnata da secoli di guerre che Mosse cattura utilizzando Kodak Aerochrome, una pellicola da ricognizione militare sensibile ai raggi infrarossi, ormai fuori produzione, messa a punto per localizzare i soggetti mimetizzati. Negli scatti di ‘Infra’, la pellicola registra la clorofilla presente nella vegetazione e “rende visibile l’invisibile”, con il risultato che la lussureggiante foresta pluviale congolese viene trasfigurata in uno paesaggio surreale dai toni del rosa e del rosso. In ‘Infra’ sono fotografati paesaggi maestosi, scene con ribelli, civili e militari, le capanne in cui la popolazione, sempre in fuga, trova momentaneo riparo da un perenne conflitto combattuto con machete e fucili.


Con la video-installazione in sei parti ‘The Enclave’, progetto gemello di ‘Infra’, Richard Mosse svela il contrasto tra la magnifica natura della foresta congolese e la violenza dei soldati dell’esercito e dei ribelli. Il percorso nel lavoro del fotografo irlandese prosegue in ‘Heat Maps’ e ‘Incoming’: Mosse si reca nei campi profughi Skaramagas in Grecia, Tel Sarhoun e Arsal a nord della valle della Beqa’ in Libano, i campi di Nizip I e Nizip II nella provincia di Gaziantep in Turchia, il campo profughi nell’area dell’ex aeroporto di Tempelhof a Berlino e molti altri. Qui impiega un’altra tecnica militare, una termocamera in grado di registrare le differenze di calore nell’intervallo degli infrarossi.

Così, invece di immortalare i riflessi della luce, Mosse registra le ‘heat maps’, le mappe termiche, consentendo di ‘vedere’ le figure umane fino a una distanza di 30 chilometri, giorno e notte. ‘Incoming’ è un’installazione audiovisiva divisa in tre parti che utilizza la stessa tecnologia: nella prima parte, girata su una portaerei, sono ripresi i preparativi per il decollo di jet militari impegnati in operazioni di controllo del Mediterraneo. Nella seconda parte, i protagonisti sono invece i migranti in arrivo sui barconi. Infine, nella terza parte, li si vede alloggiati nei campi profughi. Per produrre il video wall del 2017 ‘Grid’ (Moria), Richard Mosse si è recato più volte nell’arco di due anni nel campo profughi sull’isola greca di Lesbo. Le riprese sono state effettuate con termografia ad infrarosso e l’opera è costituita da 16 schermi che propongono lo stesso spezzone a diversi intervalli. Tra il 2018 e il 2019, Mosse comincia a esplorare la foresta pluviale sudamericana dove concentra l’obiettivo sul macro e sul micro, spostando l’interesse di ricerca dai conflitti umani alla natura: in ‘Ultra’, con la tecnica della fluorescenza Uv, scandaglia il sottobosco, i licheni, i muschi, le orchidee, le piante carnivore, descrivendo la biodiversità a rischio a causa dei cambiamenti climatici.

‘Tristes Tropiques’ è la serie più recente e documenta con la precisione della tecnologia satellitare la distruzione dell’ecosistema ad opera dell’uomo. La tecnica fotografica utilizzata è la “counter mapping”, una forma di cartografia di resistenza che grazie a fotografie ortografiche multispettrali mostra i danni ambientali difficilmente visibili dall’occhio umano. “L’obiettivo è rendere visibili i crimini ambientali normalizzati che non li vediamo più”, conclude Mosse. Info sul sito del Mast.

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