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Coronavirus, Mazzaferro (Istituto Nazionale tumori): “Con Sacco e Humanitas abbiamo creato un modello ‘a semaforo'”

"Adottato dalla Regione Lombardia ed esportato negli Stati Uniti"

Pubblicato:06-05-2020 12:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:16

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ROMA – La ricerca e la cura delle malattie vanno avanti, Covid a parte. I big killer del nostro tempo, tra cui i tumori, non aspettano l’estinzione della pandemia. All‘Istituto Nazionale tumori (INT) di Milano non solo le operazioni, soprattutto le piu’ urgenti vanno avanti, ma gli scienziati hanno messo a punto dei lavori che sono stati mutuati poi in modelli pratici da applicare ‘come un semaforo’ e individuare le operazioni chirurgiche prioritarie ed evitare ritardi. Il modello sposato da Regione Lombardia e’ stato cosi’ apprezzato dagli Stati Uniti da essere stato esportato anche li’. A raccontare tutto questo all’agenzia di stampa Dire e’ Vincenzo Mazzaferro, ordinario di Chirurgia all’Universita’ degli Studi di Milano e direttore di Chirurgia dell’apparato digerente all’INT.

– Gli interventi e i trapianti non aspettano. All’INT l’attivita’ infatti, anche nei momenti piu’ critici non si e’ fermata. Come il suo reparto si e’ organizzato per potere proseguire le attivita’ nonostante l’emergenza?

“L’Istituto Nazionale Tumori e’ uno dei pochi ospedali milanesi a basso tasso di infezione da Covid. Questo e’ dovuto a diverse circostanze. La piu’ importante e’ che i pazienti oncologici sono in genere sottoposti ad operazioni d’elezione e non in urgenza, lasciando quindi ai medici di capire per tempo l’eventuale presenza del virus. Nei pazienti con tumore, alcuni possono avere anche il Covid, ma ovviamente non tutti. Nel suo complesso l’Istituto dei Tumori, anche grazie a protocolli e percorsi prestabiliti, si e’ organizzato bene e riesce a controllare al massimo il tasso d’infezione. Le nostre sale operatorie e i nostri ambulatori hanno sempre funzionato in sicurezza anche nei giorni peggiori. L’attivita’ che pure e’ frenetica, prosegue sempre pero’ con la massima attenzione ai pazienti con tumori. E’ noto che i pazienti con malattie non-Covid, come quelli oncologici, sono pazienti che in questo periodo di emergenza sono stati penalizzati. L’impegno gigantesco profuso nella gestione dell’emergenza Covid ha reso quindi piu’ difficile gestire i pazienti non-Covid e ha allungato le liste di attesa un po’ ovunque, soprattutto per gli interventi chirurgici. Noi dell’INT abbiamo codificato per la Regione Lombardia, in collaborazione con i colleghi dell’Ospedale Sacco e Humanitas, le priorita’ da dare ai pazienti con cancro e con necessita’ di un intervento chirurgico. Questo lavoro su ‘Come decidere sugli interventi chirurgici in epoca Covid’, e’ stato pubblicato sulla rivista Annals of Surgery, che e’ l’organo ufficiale dell’European e dell’American Surgical Association. Nel lavoro descriviamo una scala di priorita’ precise che segue una sorta di ‘modello a semaforo’ legato a cio’ che e’ piu’ o meno urgente. Seguendolo e’ possibile stabile facilmente se un paziente e’ rinviabile o indifferibile: un vero e proprio protocollo applicabile da tutte le chirurgie che vedono pazienti con tumore. Siamo molto contenti che dalla Regione Lombardia il nostro metodo di lavoro si sia diffuso ora in tutto il mondo e soprattutto negli Stati Uniti, che ci hanno seguito nell’epidemia ma ampiamente superato sulla dimensione del problema della allocazione di risorse per i pazienti oncologici in epoca Covid”.


– Un paziente oncologico e trapiantato corre rischi maggiori in caso di positivita’? A questo proposito ci racconta cosa e’ emerso da un suo recente studio pubblicato su Lancet?

“Lancet ha pubblicato un altro nostro studio realizzato osservando la popolazione dei nostri pazienti trapiantati di fegato a causa di un tumore. Abbiamo notato che i pazienti trapiantati di fegato non rischiavano un peggioramento delle loro condizioni in caso di positivita’ al Covid perche’ immunodepressi, ma quando piuttosto erano affetti da malattie metaboliche a loro volta spesso correlate all’eccessivo ‘benessere’ riconquistato dopo il trapianto. In effetti, piu’ tempo passa dal trapianto e piu’ il paziente trapianto tende ad ingrassare e a muoversi meno e cio’ comporta grandi rischi anche in caso di infezione da Coronavirus. Spesso osserviamo che piu’ ci si sente guariti piu’ ci si rilassa e si perde l’attenzione a non guadagnare peso, fare attivita’ fisica, alimentarsi in modo sano, non bere alcolici etc.. I pazienti trapiantati che si sono infragiliti e non hanno ben rispettato le norme del vivere sano sono diventati a maggiore rischio di contrarre la forma grave dell’infezione da Covid. Se una persona e’ moderatamente immunodepressa, come nel caso del trapiantato, con farmaci che tengono sotto controllo il sistema immunitario per evitare il rigetto, il paziente e’ invece piu’ protetto. Contrariamente a quello che si puo’ pensare, l’immunosoppressione puo’ anzi proteggere dalle reazioni severe al virus che l’organismo mette in atto e spesso portano alle note polmoniti interstiziali da Coronovirus. Queste condizioni molto gravi di espressione della malattia sono infatti legate anche alla risposta immunitaria esagerata dell’organismo contro il virus, che nei pazienti piu’ gravi vengono definite come vere e proprie ‘tempeste immunitarie’. La immunosoppressione del paziente trapiantato di per se’ non e’ quindi un fattore di rischio, ma anzi forse e’ un piccolo fattore di protezione. I pazienti trapiantati devono fare piu’ attenzione degli altri a non sviluppare le cosiddette ‘malattie del benessere’ che in loro fanno molto piu’ danno che nella popolazione generale”.

– Bisognera’ convivere per altro tempo con questo virus, come si immagina questa ‘fase 2′ a livello di organizzazione sanitaria? Se le Regioni dove il virus circola meno si chiudono, al Nord piu’ colpito potranno essere assicurate ugualmente le cure a tutti i pazienti che si spostano per interventi verso istituti come il vostro?

“Presso il nostro Istituto ma anche in molti altri centri sanitari di eccellenza del Nord Italia si e’ continuato a lavorare a pieno regime anche in questo periodo di emergenza. Da decenni l’Istituto accoglie molti pazienti provenienti dal Sud Italia che hanno trovato qui la risposta di cura alle loro problematiche oncologiche. Da medico posso dire che cio’ continua anche oggi, forse con ancor maggiore impegno che nel passato. Se il paziente riesce a curarsi vicino casa e’ ovviamente un bene, ma se il motivo di non venire a Milano per curare al meglio un tumore e’ la paura di contrarre qui il Covid, davvero si commette un grave errore di valutazione. Ribadisco, non c’e’ ragione di avere paura di un virus se il ricorso alle cure per un tumore e’ necessario e comunque non c’e’ rischio quando ci si rivolge a strutture rese sicure da protocolli precisi e controllati. Nessun malato oncologico e’ operato senza seguire dei protocolli di sicurezza che garantiscono la massima attenzione possibile a questa problematica. Prima delle operazioni i pazienti sono screenati e sottoposti a tampone. Noi come medici siamo impegnati con molti altri specialisti e con tutte le nostre forze per curare i nostri pazienti al fine di trovare cure sempre piu’ efficaci, con o senza Covid”.

– Molte Company lavorano in questo momento a piu’ vaccini.
Qualcuna promette di essere pronta a breve, questo cosa rappresenterebbe per i pazienti con patologie pregresse e immunodepressi?

“Faccio il chirurgo e l’oncologo e aspetto con molti altri non-specialisti qualche buona notizia da coloro che in tutto il mondo lavorano full-time alla preparazione di un vaccino sicuro. Spero che in Italia si trovino forme di convergenza su progetti di ricerca solidi sia dal punto di vista epidemiologico che statistico che di orientamento clinico per dare risposte credibili alle necessita’ di medici e operatori, evitando dispersioni e protagonismi senza costrutto. Vanno incentivati percorsi condivisi; le differenze tra regioni e tra specialisti non dovrebbero esserci. Anche se la scienza ha diverse rappresentazioni di pensiero e sempre ipotesi nuove e anche se l’eterogeneita’ delle idee in medicina e’ molto importante, per pandemie di questo volume bisogna assolutamente convergere su orizzonti comuni per dare alla collettivita’ risposte concrete e fornite di senso pratico. Credo che lo studio sui trapiantati sia un esempio che si puo’ percorrere anche in altri ambiti. Da sempre il medico deve mediare tra l’occuparsi del singolo suo paziente, con la sua assoluta specificita’ e l’osservare le questioni e le raccomandazioni che riguardano la collettivita’, nell’eterno sforzo di trovare per ogni sua azione un bilancio tra rischi (o tra costi) e benefici. Questa epidemia ci porta ancora piu’ a vedere e a riflettere su queste due facce del lavoro del medico e dello scienziato. Ripeto comunque che in questi tempi difficili deve essere fatto ogni sforzo per trovare maggiore convergenza in tutti settori, anche e soprattutto in medicina e in ricerca.Vorrei infine trasmettere il messaggio tranquillizzante che il sistema sanitario si sta adeguando piu’ velocemente del virus alle esigenze di tutti e che la medicina e la ricerca non dimentica che i big killer della nostra gente sono ancora le malattie cardiovascolari, quelle neurologiche e i tumori. Su queste aree l’impegno clinico e l’attenzione non diminuiranno a dispetto di ogni evento intercorrente”.

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