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La presidente della Commissione Affidi: “Serve banca dati delle case famiglia”

Laura Cavandoli alla Dire: "Lamorgese non risponde sui prelievi dei minori, riproverò"

Pubblicato:06-04-2022 12:58
Ultimo aggiornamento:06-04-2022 12:58

laura cavandoli imago
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ROMA – “Come Commissione continuiamo a chiedere a livello parlamentare, con ordini del giorno ed emendamenti, di avere una banca dati sulle case famiglia e le comunità. Sarebbe molto rilevante e permetterebbe ai servizi sociali, ai tecnici e ai giudici di sapere quali sono, e dove, le strutture in cui collocare i minori in casi di emergenza”. Così all’agenzia Dire Laura Cavandoli, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori, rispondendo ad una domanda sulla mancanza di un registro nazionale sulle case famiglia. Ad oggi esistono infatti dati generici e incompleti tanto che spesso la storia dei ragazzi ospiti delle strutture, o del fenomeno stesso, è sconosciuta.

La Commissione “valuta le segnalazioni che arrivano – prosegue Cavandoli – non sono tantissime pur avendo diffuso le notizie sui social e sulla stampa. Alcune situazioni sono molto complesse e ben articolate, altre sono scarne e forse in contraddizione con quello che viene richiesto”. La presidente sottolinea come serva “a tutti una competenza specifica per fare anche la segnalazione, infatti è avvantaggiato chi è munito dell’avvocato perchè noi cerchiamo di valutare l’applicazione normativa“. Da quanto audito, però, “notiamo che dal punto di vista sostanziale la normativa è già perfetta, ma non è applicata in modo corretto”. Esiste infatti “un problema procedurale” nel processo minorile, “scarno e scevro di regole che lo regolamentano”. Questo, aggiunge Cavandoli, “non fa altro che dare adito a esperienze diverse e contraddizioni tra casi simili, ma soprattutto prassi diverse”. Tra questi, la Commissione lamenta “il mancato ascolto del minore o addirittura casi in cui il minore viene ascoltato dal giudice onorario e non dal giudice togato”. Si tratta di “piccole prassi che però possono avere effetti devasanti sul minore – conclude la presidente – visto che i bambini si vedono modificare la loro vita da un giorno all’altro, e a volte per tempi lunghissimi che non possono essere piu recuperati dall’affetto dei genitori”.

CAVANDOLI (COMM. AFFIDI): “LAMORGESE NON RISPONDE SU PRELIEVI, RIPROVERÒ”

Sulle modalità di allontanamento di un minore dal suo contesto familiare “abbiamo anche scritto alla ministra Lamorgese per sottoporle questa problematica, ma ahimè” dalla ministra dell’Interno “non abbiamo ricevuto alcun riscontro. Insisteremo perchè ci sono linee guida che indicano chiaramente quali sono i requisiti che devono essere rispettati” per eseguire il prelievo, spiega all’agenzia Dire Cavandoli. I requisiti da rispettare, sottolinea Cavandoli, “sono la presenza di assistenti sociali e personale intermedio che possa rendere effettivo l’allontanamento”. A questo proposito la presidente ricorda che “se c’è una decisione che stabilisce un allontanamento, allora quell’allontanamento deve essere eseguito. Forse serve anche un percorso accompagnatorio e di preparazione psicologica sia nel minore che nel genitore che subisce l’allontanamento”. Per queste ragioni, ricorda Cavandoli, “la Corte di Giustizia ha condannato molte volte l’Italia perchè non è stato attuato un provvedimento giudiziario che prevedeva l’allontanamento dei genitori”. Sulla presunta sindrome da alienazione parentale (Pas), invece, “la Cassazione ha confermato quanto detto l’anno scorso”, ovvero che il giudice “deve valutare cosa sta succedendo nel comportamento della mamma indipendentemente dalla valutazione della Ctu”. Un principio che la Cassazione “ha ribadito perchè spesso ci può essere un’applicazione pratica diversa e un appiattimento della decisione giudiziaria su quelle che sono le risultanze della Ctu”, conclude la presidente.


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