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“Non sono un virus”: le relazioni ai tempi dell’infodemia

Sips: "In Italia siamo abituati al contatto. Ma non tutto il male viene per nuocere..."

Pubblicato:06-03-2020 14:54
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:06

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ROMA – “Sto sempre in fondo al bus in piedi, perché mi sento in colpa che la gente non debba sedersi per causa mia e quando mi siedo mi sento un insetto, uno scarafaggio, un mostro”. Sharon, cinese natualizzata italiana di Torino, affida i suoi sentimenti a Facebook, sotto lo pseudonimo di ‘Ebi Urakami’. “A volte il bus salta la mia fermata perché mi vede. A volte per spostarmi mi spingono con i gomiti. Mi hanno lanciato petardi in metro. Mi hanno insultata in treno e ho paura perenne di essere picchiata perché nella mia zona hanno già assalito dei cinesi. So che stanno organizzando dei gruppi di ragazzini per venirci a pestare perché siamo dei virus. Sono un virus? Io non sono un virus io sono Sharon, e penso di morire non per il contagio, ma per la psicosi”. Definitiva e allarmante la sua testimonianza, che regala una fotografia di quelle che sono e saranno le relazioni sociali ai tempi del Covid-19.

A seguito del 4 marzo con il Decreto del presidente del Consiglio (Dcpm), infatti, lavarsi le mani e starnutire nella piega del gomito non basta più. Da evitare baci, abbracci e strette di mano, mantenendo nei contatti sociali la distanza interpersonale di almeno un metro.

“Il virus sta comportando dei cambiamenti epocali nelle relazioni tra le persone. Ci stiamo distanziando, ci dobbiamo distanziare“, riflette su Radio00 il presidente dell’Ordine degli psicologi della Puglia, Vincenzo Gesualdo.


Tra l’ironia dei social e il panico cittadino, dai bus alle metro la mobilità sembra essere uno dei migliori dei palcoscenici su cui assistere al cambiamento sociale che stiamo sperimentando: “Si prospetta un interessante cambiamento ,riguardo il mondo interno delle persone ma soprattutto quello delle relazioni”, riflette Antonio Lo Iacono, presidente della Società italiana di Psicologia e socio fondatore dell’Istituto di Psicoterapia Psicoumanitas. Tutto si basa sul concetto di ‘giusta distanza’ che, spiega Lo Iacono, “cambia a seconda delle popolazioni. C’è la giusta distanza del norvegese e quella dell’africano. Per gli italiani la giusta distanza è prettamente mediterranea, siamo abituati al contatto”, ed ora quest’abitudine si scontra con “la diffidenza in ognuno di noi. Soprattutto le persone particolarmente ansione, ipocondriache o con tendenze sospettose e paranoidi vedranno aumentare i loro sintomi e questo porterà a un crescente bisogno di psicoterapeuti. Ci sarà bisogno- illustra l’esperto- di una task force che è ancora tutta da inventare”. 

Il nocciolo della questione, però, “sarà proprio quello di riuscire ad entrare in contatto con le ansie personali ed esterne di ognuno. Perché senza relazioni, è stato sperimentato da molti psicologi, si muore“. E a fargli eco è il presidente dll’Ordine degli psicologi della Puglia: “Siamo animali sociali e questo significa che esistiamo perché siamo in delle relazioni. Diminuire le relazioni sociali comporterà necessariamente una rivisitazione dei nostri paradigmi di socializzazione”. Entrambi gli esperti, poi, concordano sul ruolo svolto dalla realtà virtuale. “Certo è vero- sostiene Lo Iacono- che molte notizie che circolano possono essere pericolose. Ci troviamo quasi di fronte a una ‘bulimia’ informativa”, ma le relazioni virtuali “sono anche una bella compagnia” in questa fase e, vista la progressiva diminuzione dei contatti sociali “sarà necessario- chiosa il presidente dell’Ordine Puglia- affidarci alle relazioni virtuali”. E mentre si legge sul Foglio che per Renato Zero ciò che è drammatico “è la paura di un abbraccio, lo stare sempre più soli”, Lo Iacono ritiene che non tutto il male venga per nuocere. “Potremo- sostiene- entrare nell’ambito della sana solitudine. Il deserto che cercavano i profeti è un risvolto per conoscerci meglio. Così, un po’ di deserto potrebbe permetterci di cercare e ritrovare la nostra reale identità, dando più attenzione alla nostra spiritualità, in una società che, troppo spesso, è abituata a rivolgersi solo all’esterno”. 

Dall’emergenza Covid-19 a emergere dunque è “un conflitto insito nella stessa natura umana: tra il bisogno e il desiderio di relazioni e la paura delle stesse“, continua lo psicoterapeuta. E a ciò si aggiunge, però, “il solito istinto che ci spinge alla costruzione di un nemico con cui prendercela. Identificare un nemico o un pericolo ci fa sentire protetti. Per fortuna, però- conclude Lo Iacono- al fianco dell’istinto vi è la parte ‘costruens’, della ragione, che non distrugge ma costruisce”. E Anna Maria su Facebook conferma la teoria del professore scrivendo: “Non si cambia nelle tragedie verso il prossimo. Se si è buoni di animo lo si è sempre! E come me, so che ce ne sono un’immensità! Non posso credere che in un periodo così si possa provare o manifestare insensibilità. Bisogna stare l’uno vicino all’altro“. A partire da Sharon.

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