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Etiopia, il Fronte del Tigray chiede un processo contro il premier Abiy

Il partito, che controlla tradizionalmente il Tigray e ha riconquistato buona parte della regione, detta le condizioni per una tregua con Etiopia ed Eritrea dopo mesi di combattimenti

Pubblicato:05-07-2021 13:21
Ultimo aggiornamento:05-07-2021 13:28
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ROMA – Ritiro delle truppe etiopi ed eritree dalle regione del Tigray e dell’Amhara e avvio di “procedure” per poter processare per “i danni che hanno causato” il primo ministro di Addis Abeba, Abiy Ahmed, e il presidente eritreo, Isaias Afwerki. Sono queste alcune delle pre-condizioni che il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf) vorrebbe imporre per avviare una negoziazione su un cessate il fuoco, stando a quanto si legge da un comunicato pubblicato ieri. La stragrande maggioranza del territorio del Tigray è tornata sotto il controllo del Tplf la settimana scorsa dopo mesi di combattimenti, proseguiti anche dopo la proclamazione di vittoria da parte delle forze armate etiopi il 28 novembre, circa 25 giorni dopo l’avvio di un’offensiva militare nella regione.

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Il ritorno delle truppe fedeli al Fronte tigrino nella capitale Macallè è stato seguito da una dichiarazione unilaterale di cessate il fuoco da parte di Addis Abeba, rifiutata dai vertici del Tplf. Ieri il partito, che controlla tradizionalmente la regione e che era la formazione di maggior rilievo nella coalizione intercomunitaria che ha governato l’Etiopia fino al suo scioglimento da parte di Abiy, nel 2019, ha pubblicato le sue condizioni per accettare una tregua. Oltre al ritiro delle truppe nemiche il Tplf ha chiesto l’istituzione di un organismo di indagine indipendente delle Nazioni Unite per verificare “gli orrendi” crimini che avrebbero commesso le forze armate etiopi ed eritree.


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Il Tplf ha chiesto inoltre la garanzia del ritorno degli sfollati, centinaia di migliaia interni e almeno 70mila in Sudan, e l’invio di aiuti umanitari alla popolazione della regione. Agenzie internazionali hanno lanciato l’allarme sulla possibilità che la situazione umanitaria nella regione sfoci in una carestia che possa mettere a repentaglio la vita di cinque milioni di persone.

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