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Villa Ada racconta il mondo, Ndileka Mandela: “Impariamo da mio nonno ad abbattere i muri”

"Servono leader pieni di umanità"

Pubblicato:05-07-2019 13:53
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:29

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ROMA – “I migranti non sono una sfida che riguarda solo l’Italia, sono un fenomeno globale. Tocca la Libia, l’America centrale, l’Asia e il Sudafrica. Cosa direi a chi propone di fermarli costruendo muri? Gli ricorderei che non incoraggiano ne’ il rispetto della legge, ne’ l’unita’ o il benessere. Si deve puntare sul dialogo”.

Queste le parole all’agenzia ‘Dire’ di Ndileka Mandela, nipote di Nelson Mandela, attivista a sua volta, a margine di un incontro a Roma nell’ambito della rassegna estiva Villa Ada racconta il mondo, organizzato da Arci Roma, in collaborazione con l’ong Un ponte perà Le migrazioni, sottolinea Ndileka, “sono legate alla lotta per le risorse economiche e piu’ avremo politici corrotti, che si appropriano delle ricchezze senza redistribuirle, piu’ le migrazioni aumenteranno. Perche’ le persone vanno dove sperano di trovare una vita migliore”.


Il tema della leadership e’ centrale nel pensiero della nipote di Mandela, che pago’ con tre decenni dietro le sbarre la sua lotta all’apartheid: “Mio nonno – ha ricordato Ndileka al pubblico venuto ad ascoltarla – ha trascorso 27 anni in prigione a causa del suo attivismo, ma penso che gli abbia fatto bene. Gli ha dato il tempo per pensare e capire cosa fosse meglio per il nostro Paese. Abbiamo bisogno di leader cosi’: pieni di umanita’, che sappiano costruire il futuro”.

Nel mondo di oggi, ha proseguito, “la pace e’ frammentata e questo permette ai governanti di tenere la popolazione concentrata su quello che non va. Cosi’, loro si accaparrano le risorse indisturbati”. Suo nonno, una volta uscito di prigione, venne eletto presidente del Sudafrica libero dall’apartheid: “Lui e i compagni erano leader consapevoli del fatto che le loro scelte avrebbero avuto un impatto sul domani. E’ questo tipo di politici che mancano oggi. In Sudafrica poi, credo che l’errore sia stato credere che sarebbe bastato mettere a capo della nostra societa’ persone capaci, e poi farci indietro, senza piu’ occuparci di cio’ che accadeva. E invece bisogna partecipare”.

A margine dell’incontro, con la ‘Dire’ Ndileka Mandela prosegue commentando la recente implementazione in Africa dell’Area di libero scambio, un progetto targato Unione Africana, che potrebbe generare 7mila miliardi di profitti entro il 2030: “E’ una cosa molto buona. Per la prima volta gli africani commerceranno i prodotti tra loro. No, aspettate, non e’ la prima volta: l’Africa lo faceva gia’ prima che venisse colonizzata.

L’area di libero scambio poi ci permettera’ di trascinare in avanti i Paesi piu’ deboli, cosi’ come ha fatto – e sta facendo – l’Unione Europea. Solo che, sempre a causa del colonialismo, a differenza dell’Europa non abbiamo il lusso del tempo: ci serve il cambiamento e deve avvenire adesso”. L’impegno sociale di Ndileka si declina guidando la Thembekile Mandela Foundation, con cui realizzare uguaglianza di genere e favorire l’istruzione e l’accesso alla salute: “Il problema dell’Africa e’ che per il 60 per cento e’ ancora rurale”.

Prosegue l’attivista: “Davanti a noi ci attenda molto lavoro, anche in Sudafrica, dove la mia Fondazione opera. E non dimentichiamo lo sviluppo dei giovani”. Quanto alle donne, la nipote di Madiba evidenzia: “Devono confrontarsi sempre con gli stessi problemi, che si trovino in Sudafrica o altrove: pari accesso al lavoro, uguaglianza nei salari, violenza di genere, stupri. Il problema e’ che molti Paesi dell’Africa sono Terzo mondo, e questo complica le cose”.

E un effetto di questa situazione sono i flussi migratori, che a loro volta alimentano il razzismo: “Mio nonno diceva che possiamo appartenere a culture o etnie diverse ma in fin de conti, siamo parte di un’unica razza, quella umana” dice Ndileka. “Il perdono invece e’ cio’ di cui abbiamo bisogno per essere umani. Cio’ che distinse mio nonno da qualsiasi altro politico e’ stata la sua capacita’ di perdonare. Quando e’ stato liberato ha perdonato chi lo aveva incarcerato perche’ si e’ rifiutato di sentirsi ancora imprigionato nell’odio”.

La capacita’ di perdonare, “e’ insita nell’uomo, tuttavia e’ una questione di scelta. Mio nonno scelse di perdonare, diventando una persona migliore”. Il ricordo piu’ bello di lui? “La grande umilta’ – risponde Ndileka – Era capace di dialogare con chiunque. Non gli importava se eri un re o uno spazzino: in quanto essere umano, meritavi di essere trattato con rispetto e dignita’. La sua umilta’ mi manca molto”. 

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