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Pace, presentato a Roma il ‘metodo Rondine’: “Così si vince l’odio”

ROMA - Inutile dire che, quando una guerra finisce, si tratta di una buona notizia. Ma la pace non è

Pubblicato:05-07-2018 16:37
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:21

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ROMA – Inutile dire che, quando una guerra finisce, si tratta di una buona notizia. Ma la pace non è automatica: gli strascichi di violenza e rancori covano per molto tempo a seguire. Ecco perché è necessario comprendere la natura dei problemi e supportare le persone, fornendo loro gli strumenti affinché possano superare i conflitti e ricucire il proprio tessuto sociale: questo l’obiettivo del Metodo Rondine, frutto di due anni di ricerca di Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dell’Università degli Studi di Padova, ma avviato 20 anni fa dall’Associazione Rondine cittadella della pace di Arezzo.

Il progetto di ricerca ‘Studio e divulgazione del Metodo Rondine per la trasformazione creativa dei conflitti’ è stato presentato oggi a Montecitorio, un’occasione anche per conoscere il primo tentativo di applicazione pratica di questa strategia. La scelta è ricaduta sulla Sierra Leone, attraverso il progetto ‘Initiative for Democratic and Peaceful Elections’, che ha puntato a favorire uno svolgimento pacifico delle elezioni presidenziali del 7 marzo scorso.

Nel Paese africano la guerra è finita nel 2002, lasciando dietro di sé 50mila morti e forti tensioni tra la popolazione, afflitta anche da diseguaglianze estreme – il 70 per cento degli abitanti vive sotto la soglia di povertà ed è analfabeta. Dal gennaio 2017 al marzo 2018, 12 “trainer” hanno promosso in tutto il Paese attività di formazione per 360 leader locali, per renderli capaci di influenzare positivamente le proprie comunità, a partire dai valori democratici e del dialogo costruttivo.


“Tramite ‘Rondine’ abbiamo imparato a guardare ai nemici in un’altro modo: non importa se apparteniamo a partiti o comunità diverse. Possiamo scambiare opinioni senza farci del male”, la testimonianza di una ‘ambasciatrice di dialogo’, riportata nel corso dell’incontro.

“Oggi siamo qui perché vogliamo che il processo di formazione sperimentato in Sierra Leone ottenga un valore scientifico, dopo due anni di studi e osservazione”, dice Franco Vaccari, presidente di Rondine cittadella della pace di Arezzo, che il 10 dicembre presenterà il Metodo anche alle Nazioni Unite, in occasione dei 70 anni della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

All’appuntamento dovrebbe partecipare anche il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti. E a sostenere il Metodo sarà anche il ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale, che ha assunto l’impegno di portarlo anche all’attenzione dell’Unione Europea.

Bisogna ‘agire la pace’: dai 360 leader formati con ‘Rondine’ sono state sensibilizzate un milione di sierraleonesi, ed è questo il risultato incredibile di questa intuizione”, osserva Maria Cristina Ferradini, consigliere delegato della Fondazione Vodafone Italia, finanziatrice della ricerca.

Secondo Ettore Rosato, vicepresidente della Camera dei deputati, il Metodo Rondine “è un esempio tra i più qualificati che l’Italia può esportare, se vogliamo lasciare un pianeta migliore alle future generazioni”.

Manuella Markaj: “Io dal Kosovo, project manager per la democrazia in Sierra Leone”

“In 18 mesi siamo riusciti a sensibilizzare più di un milione di persone, per far sì che le presidenziali di marzo si svolgessero in un clima tranquillo e democratico”. Manuella Markaj, è stata project manager del primo progetto che applica la strategia del “metodo Rondine”. Markaj, 29 anni, rappresenta anche il ‘Rondine international Peace lab’, il network di ex-studenti che hanno studiato nella Cittadella della pace, e che come molti suoi compagni proviene da una zona di conflitto: il Kosovo.

Il Metodo Rondine arriverà anche in Colombia e Nigeria

“In Colombia l’accordo di pace con le Farc non basta, la pace va accompagnata- spiega Franco Vaccari, direttore dell’Associazione Rondine Cittadella della Pace- Quanto alla Nigeria, vanno risolti conflitti endemici, e poi c’è la minaccia Boko Haram, tutte cause delle migrazioni a cui assistiamo oggi in Italia”

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