Da “caso nazionale” a eroe del Made in Italy: l’appropriazione (indebita) di Sinner

Da Meloni in giù, la corsa della politica per fare "nostro" il numero 1 del tennis. Già dimenticate le polemiche su Saremo e la residenza a Montecarlo

Pubblicato:05-06-2024 11:40
Ultimo aggiornamento:06-06-2024 13:46

Sinner
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ROMA – Sinner era ancora in campo, al terzo set contro Dimitrov, che già l’Italia chiamò. Incosciente lui, mentre sui social era partita la corsa all’appropriazione indebita del campione. L’orgoglio italiano. L’eccellenza del Made in Italy, manco fosse un prosciutto. Istituzioni sportive o meno, da Meloni in giù, dall’Appendino all’Urso, tutto uno sdilinquirsi in prima persona per l’attribuzione del merito suo, ma in fondo sì, “nostro”.

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E quindi, ovvio, la Presidente del Consiglio: “Primo italiano nella storia a conquistare la vetta della classifica mondiale. Complimenti Campione!”. Poi il Ministro dello Sport, Abodi: “Sei il nostro orgoglio, perché è meraviglioso che tu sia arrivato, passo dopo passo, al primo posto della classifica mondiale: con il talento, l’impegno e la voglia di migliorare sempre, ma anche con la naturalezza, la sincerità, la semplicità e i sentimenti delle persone speciali. Ben oltre il numero 1!”. A seguire tutto il cerimoniale di settore: Malagò, Binaghi, i colleghi tennisti, i colleghi campioni, gli aspiranti colleghi.

Ad un certo punto però sull’internet sono calati i “big” del traffico tricolore. Primo in volata il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida con “Semplicemente il numero uno. Sei nella storia, Jannik”. Poi la Ministra del Turismo, Daniela Santanché. Con un capolavoro manierista:

Il tweet di Santanché è a suo modo perfetto. Perché per attaccare preventivamente “quelli che parlano male dell’Italia”, cita un titolo della Gazzetta dello Sport. Proprio il giornale che lo scorso autunno si lanciò in una improvvida campagna di stampa contro il “caso nazionale” Sinner, che s’era permesso di saltare un turno di Davis per allenarsi. Da quel momento Sinner avrebbe vinto la Davis, raggiunto la finale delle Atp Finals, vinto il suo primo Slam in Australia e scalato la classifica mondiale. Santanché è una fuoriclasse, quindi aggiunge una pennellata dadaista: “record di turisti”, “si respira aria nuova”. Peccato il traffico bloccato dai carri del vincitore in autostrada.

E’ un destino cui Sinner non si sottrae. Che anzi domina con una pazienza da democristiano scafato. Ogni volta che un giornalista italiano gli ricorda fatalmente la magia – sua, nostra – d’essere italiano, lui incassa e sorride. Probabilmente perché apprezza la tenerezza dell’argomento ridondante. Si stupisce del nostro stupore, dopo anni in cui il Sinner attualmente bravo connazionale, orgoglio d’un popolo fatto a sua immagine e presunta somiglianza, era invece raccontato come una fredda creatura dell’Alto Adige. Poi residente (ovviamente doloso ed evasore) a Monaco. Oggi è a maggior ragione “l’Italia che ci piace”.

Ci siamo già perdonati il ritorno a casa dopo lo Slam australiano, quando la seconda domanda in conferenza stampa era – fissa – “andrai a Sanremo?”. Con i giornalisti stranieri attoniti, con quell’espressione un po’ così che hanno loro quando gli spieghi che Genova – per noi – è solo provincia del Festival. Lui disse di no. Che si doveva allenare. Come per la Davis. Evitarono, memori della precedente figuraccia, di rinfacciargli un nuovo “caso nazionale”.

Sinner quella volta non riuscì a divincolarsi dal tour istituzionale con Binaghi bodyguard. Prima Meloni con foto, poi la stampa, il Quirinale a seguire. Una via crucis. Ora per fortuna sua è ancora in tabellone a Parigi. A giocarsi la sovranazionalità del campione, a dispetto del passaporto da “nostro” per ius sanguinis. Mentre noi in Italia stendiamo il tricolore come i panni nei vicoli dei luoghi comuni.

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