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Violenza donne, scuole premiate per concorso associazione Marianna Manduca

L'associazione lavora per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e sui minori e oggi ha concluso oggi il primo concorso nazionale ‘Dai tu un nome alla violenza’

Pubblicato:05-06-2019 10:07
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:22
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ROMA – Il caso di Marianna Manduca, una delle tantissime vittime di femminicidio in Italia, è la storia di 12 denunce inascoltate, di uno Stato assente “dal volto insensibile e disattento, con poca volontà di distinguere fenomeno da fenomeno, situazione da situazione”, ha detto Valeria Valente, presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio, durante l’incontro conclusivo del primo concorso nazionale ‘Dai tu un nome alla violenza’ che si è tenuto oggi a Roma, al Campidoglio. La sua storia- dalla conclusione giudiziaria ancora tutta da scrivere- che ha visto in appello ribaltata la sentenza che aveva condannato i magistrati e obbligato lo Stato al risarcimento degli orfani- ha portato alla nascita dell’associazione ‘Insieme a Marianna’, voluta dal cugino Carmelo Calì che con sua moglie Paola Giulianelli ha adottato i tre figli di Marianna. L’associazione lavora per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e sui minori e oggi ha concluso oggi il primo concorso nazionale ‘Dai tu un nome alla violenza’, con il patrocinio della Commissione pari opportunità della Rai. 

IL PROGETTO ‘DAI TU UN NOME ALLA VIOLENZA’

Il progetto, alla sua prima edizione, ha coinvolto due licei, uno a Palagonia (Ct), dove Marianna ha vissuto, e l’altro a Senigallia (An), città dove i suoi figli stanno crescendo adottati da Paola e Carmelo. Lì, docenti e studenti si sono messi alla prova e hanno affrontato insieme delle sessioni di lavoro sul tema della violenza di genere, conoscendola a fondo, comprendendone le varie sfaccettature e dando anche sfogo alla loro creatività, con lettere, poesie, disegni e prodotti multimediali, dalle video-interviste ai brevi cortometraggi.


Ci sono “tagli, botte e insulti che non sfociano in un femminicidio, ma si trasformano comunque in un ergastolo”, ha detto la conduttrice televisiva Paola Saluzzi, perché ciò che non si riesce a cambiare è spesso frutto della mentalità, “anche la mentalità di un magistrato, di uno psicologo, di un avvocato, anche di un avvocato di difesa, può essere intrisa di stereotipi e di pregiudizi. È qui la vera battaglia che dobbiamo condurre insieme, uomini, donne, scuole e luoghi del sapere”, ha aggiunto la senatrice Valente. Alla fine della mattinata, con entrambe le scuole premiate, il concorso nazionale è pronto a ripartire con una seconda edizione e Calì ha assicurato: “si stanno aggiungendo già altri due istituti e abbiamo deciso di aprire una nuova sede a Palermo, mentre presto ne nascerà una a Palagonia. Mi auguro- ha concluso- che questo progetto coinvolga sempre più ragazzi, questo è l’obiettivo”.

Anche gli avvocati Licia D’Amico e Alfredo Galasso hanno partecipato alla cerimonia conclusiva, come soci fondatori dell’associazione e da oltre dieci anni al fianco di Carmelo Calì, nella lunga e difficile battaglia giudiziaria che la famiglia sta continuando a condurre. A seguito delle 12 denunce inascoltate “colpevole di inerzia”, la magistratura ha dovuto risarcire la famiglia ma la battaglia è tutt’altro che giunta al termine. Infatti, “ora la Presidenza del Consiglio dei ministri chiede la restituzione delle somme che lei stessa aveva corrisposto. Una richiesta immotivata, anche perché- ha spiegato l’avvocato Galasso- la somma è stata utilizzata, sotto autorizzazione del giudice tutelare, per l’acquisto di un bed and breakfast che serve al sostentamento dei ragazzi e della famiglia che li ha presi in affido. Abbiamo chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri- ha continuato- di attendere il giudizio della Corte di Cassazione”. In termini di ricorso, infatti, “al momento non ci sono novità sull’ammissibilità da parte della Corte. Anche con gli avvocati ci siamo detti che non avremo notizie prima di settembre”, ha spiegato Calì all’agenzia Dire. La giornata di oggi, quindi, “è importante soprattutto come risposta all’incredibile sentenza della Corte d’appello”, ha aggiunto l’avvocato, che ribalta completamente la vicenda Manduca. La sentenza, infatti, “ha detto alle donne: ‘denunciate pure, tanto se il vostro compagno ha deciso di uccidervi riuscirà a farlo comunque'”.

VALENTE: INACCETTABILE RISORSE ORFANI NON ASSEGNATE

In tema di femminicidio le risorse per “i bambini orfani di madre, o addirittura di madre e di padre, sono bloccate per disguidi tecnico-burocratici. È inaccettabile”. A dirlo è Valeria Valente.

Nei prossimi giorni “in audizione abbiamo chiesto ai funzionari del ministero di spiegarci perché ancora non si distribuiscono risorse, stanziate in base ad una legge della precedente legislatura. Ci sembra un’emergenza importante- ha ribadito Valente- si tratta di dare un segnale di civiltà e di vicinanza. Prendiamo atto di quanto è stato fatto ma soprattutto di quanto non è stato fatto. Da questo punto di vista la commissione ha deciso di vederci chiaro, di chiedere a chi ha le responsabilità il perché di questi ritardi e indagarli con la speranza di risolverli”, ha spiegato la senatrice.

È importante approcciare, poi, la violenza di genere come “fenomeno non emergenziale”, nel senso che “per emergenza intendiamo una cosa che accade all’improvviso e non è prevedibile. Il fenomeno delle violenze di genere, invece, ha radici profonde, radicate in un modello sociale e culturale che si è purtroppo consolidato nel nostro Paese e viene da molto molto lontano”, ha ribadito Valente durante l’evento. L’attuale impianto normativo “nonostante sia perfettibile può essere definito soddisfacente”, nell’ottica in cui “negli anni ‘80 avevamo ancora il delitto d’onore e negli anni ’90 la violenza sessuale era ancora una violenza contro la pubblica morale e non contro la persona, ora abbiamo superato tutto questo. Non è tantissimo che abbiamo raggiunto quest’impianto normativo” ma possiamo dire che “dal punto di vista formale, regge”. 

Ciò che va considerato, però, ha aggiunto la senatrice, “è che c’è una differenza abissale tra quello che noi scriviamo e quello che, invece, accade nella realtà. Questo perché le norme da sole sono necessarie ma mai sufficienti”. La senatrice, infatti, di fronte al giovane pubblico attento, ha spiegato che “capita spesso che delle figure tecniche, che affiancano i magistrati nel rapporto con genitori spingano per ‘farli mettere d’accordo’. Il consulente dice così- ha argomentato la presidente- ‘tentate di mettervi d’accordo nell’interesse del minore'”. In questi casi “come si deve sentire una donna che è andata in tribunale per chiedere protezione e tutela per lei e per i suoi figli, se di fronte alla legge, allo Stato, trova una voce tanto fredda e distante?”.  Questo accade per diversi motivi ma uno su tutti: la mentalità. “Anche la mentalità di un magistrato, di uno psicologo, di un avvocato e addirittura di un avvocato di difesa, può essere intrisa di stereotipi e di pregiudizi. Questa è la vera battaglia che dobbiamo condurre insieme: uomini, donne, scuole, luoghi del sapere. Gli stereotipi sono duri a morire e non basta una legge per combatterli”. 

 “Io sono convinta che- ha aggiunto la senatrice- se voi nei libri di testo continuerete a vedere le donne che lavano i piatti e gli uomini che vanno a lavorare, è dentro quella disparità profonda, in quella sperequazione che nasce il modello della violenza di genere”. 

Donne più preparate, più intelligenti e più studiose che al livello di leggi “hanno raggiunto la parità e l’eguaglianza ma che faticano ad arrivare ai vertici. Non abbiamo una segretaria di partito donna, una presidente della Repubblica donna e abbiamo differenze salariali quando arriviamo ai vertici” ma se un uomo usa violenza nei confronti di una donna “ancora capita di sentirsi dire- ha spiegato Valente- ‘se ci sono uomini violenti è anche per queste mamme, per come li hanno educati…’. Quindi- ha ribadito- noi siamo più intelligenti, più preparate, più brave, comunque non arriviamo ai vertici e però se un uomo è violento, la responsabilità è della mamma che non lo ha saputo educare abbastanza bene. Tutto è frutto della mentalità”. 

E cosa possiamo fare? “Quello che state facendo, come associazione, come scuole, docenti e studenti. Dobbiamo lavorare per sconfiggere quella mentalità che, purtroppo, arriva da molto lontano, da un sistema patriarcale che relegava la donna alla casa. Noi non siamo più a casa, però quella mentalità ancora c’è e quando una donna scende in un percorso di autonomia l’uomo, ancora oggi, può non accettarlo.

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