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VIDEO | Migranti, Bertotto (Msf): “La Libia è insicura, Ue chiuda i centri”

La denuncia di Medici senza frontiere: "Bisogna intensificare il trasferimento dei migranti rinchiusi nei centri di detenzione, sono luoghi illegali che vanno chiusi"

Pubblicato:05-06-2019 06:59
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:22

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ROMA – “Al governo italiano e alle istituzioni europee ricordiamo che la Libia non è un Paese sicuro. Per questo bisogna intensificare il trasferimento dei migranti rinchiusi nei centri di detenzione, interrompere le intercettazioni in mare dei barconi da parte della Guardia costiera libica – che riportano i migranti nei centri -, ma soprattutto lavorare allo smantellamento dei centri stessi. Sono luoghi illegali, vanno chiusi“. Lo ha dichiarato Marco Bertotto, responsabile advocacy di Medici senza frontiere in Italia (Msf), nel corso di un punto stampa stampa ieri a Roma.

Durante l’incontro è stata presentata ai giornalisti la situazione umanitaria nel Paese, a due mesi dallo scoppio del conflitto a sud di Tripoli tra le milizie del generale Haftar e le truppe fedeli al governo di Serraj, sostenuto dall’Onu. Già incontrati – riferisce Bertotto – esponenti della Presidenza del Consiglio e del ministero degli Esteri italiano. Julien Raickman, capomissione Msf a Misurata e Khoms, ha spiegato che la guerra, per i migranti, “sta peggiorando una situazione che era critica già da prima“.

Se il conflitto ha generato decine di migliaia di sfollati tra i libici, ai migranti “non è consentito fuggire“, come evidenziato da Sam Turner, altro capomissione per la Libia, appena rientrato da Tripoli: “Molti centri, trovandosi sulla linea del fronte, subiscono le conseguenze dirette degli scontri- ha affermato- A fine aprile a Qasr Bin Ghashir, 14 persone sono morte, molti erano bambini. Quando entriamo in questi luoghi troviamo la gente terrorizzata e disperata“.



Inoltre, ha denunciato Turner, “ci sono persone rinchiuse nei centri in modo arbitrario da mesi, alcuni anche anni, che non hanno nessuna possibilità di uscire”. E a causa del conflitto, torna ad avvertire Julien Raickman, il controllo delle istituzioni di Tripoli su questi luoghi “continua a ridursi. Eppure qui sono bloccati circa 5.800 migranti: è un numero piccolo, è impossibile che i governi europei non riescano a trovare una soluzione”.

Un altro problema sollevato dai responsabili Msf è la mancanza di posti nei Paesi terzi per il trasferimento volontario dei migranti tramite le agenzie Onu. Ad esempio il Niger non accoglie più, e questo crea un effetto domino: “aumentano le persone bloccate in Libia e di conseguenza, aumenta anche chi cerca di raggiungere l’Europa tramite i barconi” ha aggiunto Raickman, convinto che “la comunità internazionale non può ignorare queste dinamiche, quando elabora le sue politiche migratorie. Deve aumentare gli sforzi per portare via i migranti dalla Libia”.

D’altronde, sempre secondo Raickman, i centri di detenzione “non sono strutture pensate per accogliere tutte queste persone”. “Spesso si tratta di scuole o capannoni, dove che capita che le finestre vengano murate. I migranti dispongono di meno di un metro quadrato di spazio a testa. Il cibo è scarso e di bassa qualità: viene data loro principalmente pasta in bianco, non mangiano mai proteine. I casi di malnutrizione quindi sono numerosi. Le condizioni medico-sanitarie e igieniche sono drammatiche: mancano sistemi di ventilazione, le latrine e c’è poca acqua potabile: frequenti, così, le epidemie di tubercolosi”.

Difficile anche l’accesso alla salute, soprattutto laddove lo staff di Msf non può fornire assistenza. Preoccupa anche “la presenza di uomini anche laddove risiedono donne e bambini”, che “pone dubbi circa la loro sicurezza”. La detenzione non si interrompe neanche in caso di problemi di salute, riferisce Julien Raickman: “Le donne spesso sono costrette a partorire nei centri. Se riusciamo a trasferirle in una struttura medica, poi dopo il parto dobbiamo riportarle nei centri assieme al neonato”.

“Ci sono i rapporti delle organizzazioni internazionali, o delle Nazioni Unite, che testimoniano questa situazione, eppure le persone continuano ad essere riportate in Libia” ha denunciato ancora Raickman, ricordando, infine, che “le partenze, con il mare più calmo, sono ricominciate. Ma in assenza di testimoni, è impossibile quantificare il numero di morti. E chi sopravvive ci racconta che in caso di pericolo, i mercantili non intervengono perché sanno che i porti europei sono chiusi e sarebbero costretti a far sbarcare le persone solo in Libia”.


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