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Migranti, la storia di ‘Lamine’: “Io schiavo dei caporali per 25 euro al giorno”

Ha 25 anni ed è arrivato in Italia nell'inverno del 2017 ed è una vittima del caporalato nel casertano

Pubblicato:05-06-2018 15:02
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:13

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NAPOLI – Lamine (il nome è di fantasia, ndr) lavora 7 ore al giorno. Dalle 6 del mattino alle 13. Ieri, dopo un’intera giornata di lavoro nei campi agricoli, ha percorso oltre 40 chilometri in bus per arrivare da Villa Literno al centro di Napoli e unirsi a un altro centinaio di migranti che manifestavano per ricordare Soumaila Sacko, il ragazzo del Mali ucciso a fucilate in Calabria, e dire basta alle morti di razzismo. Lamine è arrivato in Italia nell’inverno del 2017 e, prima di raggiungere la Campania, è stato testimone della schiavitù in Libia. Oggi, come racconta all’agenzia Dire, è costretto a subire un’altra forma di sfruttamento, quella dei caporali della provincia di Caserta.

“Il padrone mi paga per 4 giorni e non per 7”

Il lavoro che faccio ogni mattina è molto faticoso e mal pagato. Per me – dice – è una vera e propria forma di schiavitù: lavoro nei campi dal lunedì alla domenica, senza neanche un giorno di riposo. Il mio padrone non ci paga quanto stabilito e non abbiamo alcuna tutela”. Lamine fa il bracciante il un fondo del casertano, a Villa Literno, dove raccoglie frutta e verdura di stagione. Dovrebbe percepire 3,50 euro all’ora – 25 euro al giorno – per il lavoro che svolge “ma, alla fine della settimana, il padrone mi paga per 4 giorni di lavoro e non per 7“. La sua retribuzione arriva, quindi, a 100 euro a settimana, 400 euro al mese per 30 giorni nei campi, senza ferie, tutele e riconoscimento dei diritti dei lavoratori.

“Io e tanti altri ospiti del centro d’accoglienza in cui vivo – denuncia il ragazzo – siamo costretti ad accettare qualsiasi occupazione anche perché nel nostro Cas non c’è alcun rispetto di diritti“.


La fuga dalla guerra civile in Costa d’Avorio

Lamine è un richiedente asilo di 25 anni, scappato dalla Costa d’Avorio nel 2017, quando nel suo Paese crescevano le tensioni sociali per via della proroga dei coprifuoco che rievocava gli anni della guerra civile che, fino al 2010, ha provocato oltre 3mila morti. Sono questi i motivi che hanno spinto migliaia di ivoriani a emigrare verso l’Europa: 8.374 solo nel 2017 avrebbero richiesto la protezione internazionale all’Italia secondo l’Ausylium Information Database, banca dati del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati.

“Sogni? Ne ho, ma mi accontenterei di non essere sfruttato”

Nel mio centro d’accoglienza a Villa Literno non mi garantiscono alcuna assistenza sanitaria – racconta l’ivoriano – che invece dovrebbe essere assicurata dalla legge. L’ho denunciato più volte al gestore del mio Cas, senza ricevere risposte. Devo comprarmi le medicine da solo, la notte dormo poco per la tosse che mi perseguita. Ma al mattino la sveglia suona presto e io devo andare a lavorare”. Lamine ha cercato un’altra occupazione “perché il mio lavoro non è dignitoso” ma senza alcun esito.

Ho dei sogni ma mi accontenterei solo di non essere sfruttato“, dice Lamine prima di tornare alla manifestazione. Indossa sulla sua maglietta la foto di Soumaila, un ragazzo come lui che difendeva i diritti dei braccianti. “Purtroppo, solo una volta sono riuscito a trovare un’opportunità di occupazione diversa. Ma il ‘padrone’ mi ha chiesto carta d’identità e tessera sanitaria. E io questi documenti non li ho“.

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