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Ucraina, Poletti: (Odessa Journal): “I cittadini non hanno paura, in spiaggia anche un concerto rock”

Lo spiega alla Dire l'imprenditore milanese e direttore del giornale che da circa cinque anni è residente nella città ucraina

Pubblicato:05-04-2022 18:50
Ultimo aggiornamento:07-04-2022 14:39

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 ROMA – “Sono notizie scioccanti, anche qui a Odessa se ne parla tutti i giorni. Confermano e fanno il ritratto dei nemici russi, che un giorno erano considerati un popolo fratello, un vicino di casa. A parte il giudizio politico su Putin, che va tenuto separato, la cosa peggiore che gli ucraini potevano dire dei russi è che erano arroganti e che questi li guardavano un po’ dall’alto verso il basso, come se stessero su un piedistallo. Per il resto, qualsiasi russo poteva venire qui a Odessa senza alcun problema. Io stesso ho conosciuto manager che lavoravano nella mia città e non sono mai stati trattati come stranieri. Non c’era alcuna percezione di differenza tra i due popoli. Oggi, invece, agli occhi della popolazione ucraina i russi appaiono come persone di una crudeltà inimmaginabile’. Lo spiega all’agenzia Dire Ugo Poletti, imprenditore milanese e direttore di ‘Odessa Journal’, da circa cinque anni residente nella città ucraina.

Anche Poletti è rimasto scioccato di fronte alle immagini provenienti da Bucha e da altre città dell’Ucraina, teatro di fosse comuni da dove sono emersi molti cadaveri. ‘Mi domando dove siano finiti Tolstoj e Dostoevskij’ dice il direttore. “Mi chiedo che fine abbia fatto la Russia, quella colta. Come è possibile che sia scomparsa quella ricchezza e profondità dell’anima russa? Quello che vediamo è una carneficina, oltretutto non di civili che muoiono in mezzo ad una battaglia, con due eserciti che si combattono, sparano e colpiscono inavvertitamente e accidentalmente dei civili. Ma in questo caso siamo di fronte a cadaveri provenienti da zone occupate dal nemico. Questo significa che lì il nemico ha fatto quello che voleva e ha fatto cose immonde”.

Poletti sottolinea che questo pensiero non appartiene solo a lui ma a tutto il popolo ucraino. Un pensiero che potrebbe purtroppo pesare in maniera negativa sui negoziati. “Quanto accaduto- sottolinea il direttore di ‘Odessa Journal’- aumenta l’intransigenza degli ucraini: di fronte a queste morti, piuttosto che concedere qualcosa al nemico, lo spirito della gente è adesso di combattere fino all’ultima pallottola e poi, finite le armi, di iniziare a tirare le pietre”. Intanto gli abitanti di Odessa mantengono una compostezza e una disciplina pari a quelle del primo giorno di guerra: “Il morale dei cittadini è molto alto. Sono pronti a combattere, nessuno li spaventa“.


Nessuno li spaventa e a dare loro coraggio ci pensa anche la musica. “Sulla spiaggia- racconta- c’è stata una scena bellissima: mentre numerosi civili riempivano sacchetti di sabbia, altre persone hanno organizzato un concerto rock. Tutto questo per dire che anche nella guerra, anche di fronte alla tragedia, il popolo non ha paura del nemico, è capace di ridere, di scherzare e di ascoltare la musica. È una delle immagini più belle, insieme al coro del Nabucco che ha cantato il ‘Va, pensiero’ di fronte all’Opera ma in mezzo a barriere anticarro e sacchetti di sabbia”.

La popolazione di Odessa mantiene, dunque, un atteggiamento di compostezza, mentre in città sta arrivando la primavera, si iniziano a vedere giornate di sole e di caldo e il coprifuoco è stato ridotto. Se nel pieno della guerra era intorno alle cinque del pomeriggio, è poi stato spostato alle 19 e ora è previsto alle 21. “Qualche ristorante ha ricominciato ad aprire- sottolinea Poletti- qualche cliente si nota, si è tornato a lavorare anche nei bar e nei negozi. La città vuole vivere, non si rassegna, non si lascia intimorire. Come Tel Aviv che, nonostante sia oggetto di lancio di razzi da Gaza, vive e fa la sua attività, anche Odessa sta riprendendo a vivere. E nei campi gli agricoltori stanno seminando”.

Se la vita a Odessa sta lentamente riprendendo, è innegabile che qualche attimo di tensione ci sia stato, soprattutto dopo che è stata bombardata una raffineria. “Sto abbastanza bene- informa Poletti- ci siamo ripresi dallo spavento perché il bombardamento è avvenuto proprio vicino casa mia, l’abbiamo visto e vissuto in diretta. Abbiamo visto le bombe esplodere: un conto è sentire le esplosioni in lontananza o le sirene in lontananza, a cui per un certo verso ti abitui, e non ti senti comunque minacciato. Un conto, invece, è quando le esplosioni avvengono nel quartiere accanto, vedi i bagliori della deflagrazione e senti l’onda d’urto sulle finestre. È lì che capisci che la guerra è davvero vicina”.

Secondo Poletti, il bombardamento dell’impianto di raffineria non ha però rappresentato un grande successo militare, perché si trattava di un impianto abbandonato da almeno 10 anni, appartenente all’Unione Sovietica e che raffinava petrolio russo, parte del quale c’era ancora visto che ha bruciato e ha dato vita ad un fumo denso per tutto il giorno. Per il direttore di ‘Odessa Journal’ il bombardamento ha comunque due significati. “Il primo potrebbe essere stata una ritorsione dopo il bombardamento del deposito di petrolio russo di Belgorod: ai russi non è affatto piaciuto quando sono saltati in aria i loro sette depositi di carburante. Per fortuna la loro vendetta è avvenuta in un quartiere industriale dove non ci sono residenti, quindi non ci sono state vittime. Il secondo motivo è quello di mandare un segnale molto chiaro: noi siamo in grado con i nostri missili, con la nostra flotta, ma anche con i missili che partono dalla Crimea di bombardare Odessa quando vogliamo. Se quei missili fossero esplosi sul centro storico di Odessa avrebbero fatto una carneficina. Quindi siamo sotto minaccia”. Una minaccia che, come la storia dell’arsenale nucleare e delle testate atomiche da utilizzare in guerra, Poletti si augura rimanga tale.

Il direttore ha un’idea ben precisa: “Se vuoi compiere degli sbarchi non li fai in città, sarebbe un suicidio. Piuttosto, se vuoi fare uno sbarco, ed io sono convinto che i russi non abbiano le forze per farlo, provi a farlo sulla costa, dove puoi arrivare più facilmente con le truppe di terra e iniziare l’avanzata”. Poletti tiene a precisare che, nonostante una guerra in corso, da un punto di vista strategico la situazione sia tranquilla. “Possiamo dire che è in miglioramento, perché osserviamo che le truppe della Federazione russa sono in ritirata da Nikolaev. Hanno provato in tutti i modi a piegare la resistenza dei difensori di questa città per tre settimane e già da sette giorni sono in ritirata. Si stanno invece attestando su Cherson in posizione difensiva. Questo significa che i russi sono ancora nei paraggi ma infliggono a quella povera città solo dei bombardamenti per uccidere qualcuno, come il bombardamento del palazzo governativo della regione, dove hanno provato, invano, ad uccidere il leader della resistenza, solo che lui è arrivato tardi in ufficio e si è salvato”.

L’offensiva su Odessa starebbe dunque perdendo intensità. “Lo dimostra anche il fatto che il comando russo ha detto di volersi concentrare a est sul Donbass. Vero o meno, però oggi, di fatto, la Russia ha un esercito stanco, poco rifornito e che si è trovato di fronte una resistenza inaspettata. Mosca ha un esercito che si è dovuto ritirare da Kiev, questo significa che la sua azione non sta andando bene. È un esercito che vuole concentrare i propri sforzi altrove, non a Odessa”. Intanto un gruppo di militari dell’esercito ucraino della città dove vive Poletti ha lanciato un appello all’occidente firmando una lettera con il proprio sangue. “Dal punto di vista della comunicazione è un’immagine molto forte, che vuole dare un chiaro significato: noi stiamo versando il sangue e ve lo dimostriamo in maniera concreta perché è una cosa che vi riguarda, è come se stessimo combattendo anche per voi. È un’immagine un po’ macabra per i miei gusti ma comunque coerente con la comunicazione di guerra dal carattere molto deciso che hanno voluto le autorità ucraine, a cominciare dal presidente Zelensky. È una comunicazione coerente con quella simbologia e serve, comunque, a scuotere le coscienze. Cade in un momento terribile relativo alla scoperta di quei massacri, scoperta che sicuramente non passerà inosservata e che avrà effetti politici forti”. 

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