
ROMA – “Chiudere” l’isola, per salvare sabbia bianca e mare cristallino dall’invasione di turisti, centri commerciali e discariche: è la promessa del presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, che per il paradiso tropicale di Boracay ha già fissato la data della svolta: il 26 aprile.
Ad annunciare la scadenza è stato oggi il portavoce Harry Roque, secondo il quale ormai l’isola è ridotta a “un cesso”. Colpa del turismo, con oltre due milioni di visitatori solo lo scorso anno, ospitati da circa 500 strutture ricettive, con un fatturato di un miliardo e 70 milioni di dollari.
Noto per lo stile irruento e una “guerra alla droga” segnata da sospetti di violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia, Duterte aveva riscoperto un’anima ambientalista già nei mesi scorsi. Il presidente se l’era presa con hotel e ristoranti, accusati di non essersi dotati di propri sistemi fognari e di depurazione delle acque e di scaricare invece direttamente nel mare di Boracay.
“Vi multerò per grave negligenza” aveva minacciato Duterte: “State rendendo l’isola uno stagno, anzi una fogna; o la ripulite o la chiuderemo per sempre“. Studi commissionati dal governo hanno confermato a Boracay un aumento delle fioriture di alghe e del livello di coliformi, batteri rivelatori di concentrazioni di contaminazioni fecali rischiose per la salute.
Solo nel 2016 Boracay era stata indicata come migliore isola resort da Condé Nast International, il gruppo che pubblica le riviste ‘Vanity Fair’ e ‘Vogue’. Su TripAdvisor l’isola è segnalata tuttora per la seconda spiaggia più bella d’Asia.

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