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Zaki a Tora, è allarme: “In quel carcere si muore, violazioni di ogni tipo”

"Il carcere di Tora è tristemente nota per le violazioni e per le terribili condizioni dei detenuti": la preoccupazione del Cairo Institute for Human Rights e del Forum Egiziano per i diritti umani

Pubblicato:05-03-2020 21:11
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:06

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ROMA – “Ben 449 prigionieri hanno perso la vita nel carcere egiziano di Tora tra il 2014 e il 2018. Si tratta di casi documentati dalle nazioni Unite. Se poi allarghiamo la forbice di tempo, tra il 2013 e il 2019 i morti salgono a 917. Di questi, 677 hanno perso la vita per non aver ricevuto cure mediche, 136 per le torture subite da parte degli agenti carcerari”.

A riportare queste cifre all’agenzia Dire è Leslie Piquemal, responsabile campagne di advocacy per il Cairo Institute for Human Rights (Cihr). Questa ong, fondata nel 1993 al Cairo, conta oggi varie sedi tra cui una a Ginevra e monitora lo stato dei diritti in Egitto e in vari Paesi arabi. Occasione dell’intervista, il trasferimento di stamani nella prigione di Tora del ricercatore ed attivista per i diritti umani e di genere egiziano Patrick Zaki, arrestato l’8 febbraio per sedizione sui social network e tenuto da allora in custodia cautelare.

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Piquemal prosegue: “Tora purtroppo è tristemente nota per le violazioni e le terribili condizioni in cui sono tenuti i prigionieri, soprattutto quelli di coscienza tenuti nel braccio di massima sicurezza denominato ‘scorpion’, scorpione”. In Egitto, continua la responsabile del Cihr, “tutte le prigioni sono pericolose ma quella di Tora lo è in particolar modo. Abbiamo denunce documentate di torture fisiche e psicologiche, trattamenti inumani e degradanti, tra cui il fatto che i detenuti siano obbligati a dormire per terra, senza materassi, cuscini o coperte, mangiare cibo cattivo oppure non ricevere cure mediche. E tutto questo da settembre scorso, quando si sono tenute nuove grandi manifestazioni di piazza, è peggiorato”.

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La negazione di assistenza sanitaria “è una delle preoccupazioni principali” dice Piquemal, che chiarisce: “non hanno accesso alla salute né chi ha patologie croniche, né chi si ammala per le dure condizioni di vita in cui è costretto, o per le conseguenze delle torture”. Un caso di morte ‘eccellente’ per sospetta mancanza di cure, ricorda l’attivista, è quella dell’ex presidente Mohammed Morsi, stroncato da un attacco di cuore a giungo scorso mentre presenziava ad un’udienza del suo processo a suo carico.

Morsi, leader dei Fratelli Musulmani divenuto presidente nel 2013, e poi arrestato dopo pochi mesi in seguito al colpo di stato dei militari, da allora è stato detenuto a Tora. Ma per Piquemal “In quel carcere Patrick Zaki è esposto anche a un altro rischio: i detenuti organizzano ciclicamente scioperi della fame per contestare le condizioni in cui sono tenuti, e la polizia carceraria reagisce con punizioni collettive, inasprendo le condizioni. Patrick- dice- potrebbe restarne coinvolto”.

La responsabile del Cairo Institute for Human Rights conclude con un appello: “L’unico modo per porre fine a questa situazione è ottenere la collaborazione delle autorità: si devono adeguare agli standard internazionali in materia di detenzione carceraria, rilasciare i detenuti di coscienza e autorizzare le visite a sorpresa degli osservatori degli organismi indipendenti come Croce Rossa, Nazioni Unite, oppure alle ong. Ma finora questo non è mai stato concesso”.

ARMUTIDIS: ZAKI A TORA PER ISOLARLO DA ATTENZIONE MEDIA

“Se le autorità hanno trasferito Patrick Zaki alla prigione di Tora, è perché intendono tenerlo tanto tempo lontano dalla famiglia, dai suoi avvocati e dai giornalisti. Avvertono la crescente pressione internazionale. E’ probabile che sarà torturato, perché è ormai una prassi quando spostano i prigionieri in un grande centro penitenziario. Si è inoltre esposti al rischio di violenze psicologiche e fisiche di vario tipo“. Così all’agenzia Dire Kareem Armutidis, membro del Forum Egiziano per i diritti umani (Egyptian human rights forum, Ehrf).

Armutidis in Egitto era attivista per i diritti umani, e per questo è stato in carcere varie volte tra il 2013 e il 2016, quando è stato condannato all’ergastolo. Ora risiede in Europa, dove ha ottenuto l’asilo politico. “Non sono stato a Tora- chiarisce l’attivista- ma conosco quella prigione. Tutti la conoscono in Egitto“.

Armutidis ricorda le procedure d’ingresso: “Ti rasano i capelli a zero, ti tolgono ogni oggetto personale e ti danno divise di pessima qualità. Il cibo è terribile, si sta ammassati in grandi celle con un solo bagno dove per dormire sid evono fare i turni. Mancano letti, materassi, coperte. Non è prevista assistenza sanitaria adeguata“.

A questo si aggiungono le violenze: “Una volta mi hanno tenuto appeso per le braccia per otto ore. Mi hanno bruciato con le scosse elettriche”. Poi ci sarebbero le violenze psicologiche, fatte non solo di minacce ma anche dei continui rinvii del processo. Come riporta Kareem Armutidis, “la giustizia egiziana ormai, a partire dal 2013, applica la strategia della ‘detenzione in attesa di giudizio’ come forma di punizione”. Per l’esperto “anche Zaki, la cui custodia quindicinale è già stata confermata una volta, rischia di entrare in questo tunnel”. Che può durare fino a due anni, come stabilisce la legge, spesso senza che il processo si sia concluso.

A questo si aggiunge “un’altra strategia- continua l’esponente dell’Ehrf- essere rilasciati perchè sono passati i due anni della detenzione cautelare, per essere subito dopo accusati di un altro reato, e tutto ricomincia da capo”. Come è accaduto a inizio mese ad Abdel Moneim Abouel Fotouh, ex candidato alle presidenziali per il partito Strong Egypt (Sep). A dicembre, anche il vicepresidente del Sep, Mohamed al-Qassas, al 22esimo mese di detenzione cautelare è stato assolto e poi imputato per un altro reato, stando a quanto riporta il quotidiano indipendente Mada Masr. “In questo modo- avverte Armutidis- il regime egiziano si tutela dalle accuse della comunità internazionale, a cui potrà replicare spiegando che si tratta di misure cautelari”.

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