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FOTO | In difesa di ‘Lucha y siesta’, 600 manifesti in tutta Roma

I disegni delle combattenti messicane che avevano spopolato su Instagram rispondendo alla call #drawthisinyourstyle dell'artista Rita Petruccioli sono state scaricate dal web, stampate e attaccate in luoghi simbolici della battaglia della Casa delle Donne

Pubblicato:05-03-2020 09:09
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:06

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ROMA – Risvegliarsi con un colpo d’occhio incredibile: è quanto è successo a molti cittadini in diversi quartieri della Capitale. Oltre 600 manifesti di Luchadoras, coloratissime e tutte differenti, hanno invaso i muri della Prenestina, del Quadraro, di Ostiense, di Trastevere, fino ad arrivare in alcune strade del centro storico.

I disegni delle combattenti messicane che, dopo la prima disegnata da Hogre a novembre 2019, avevano spopolato su Instagram rispondendo alla call #drawthisinyourstyle dell’artista Rita Petruccioli sono state scaricate dal web, stampate e attaccate in luoghi simbolici della battaglia che la Casa delle Donne ‘Lucha y Siesta’ sta combattendo ormai da mesi. Uno per tutti: il circondario del deposito Atac di Porta Maggiore, la rimessa storica dei tram di Roma. Fra le centinaia di disegni, i più disparati per stile e interpretazione del tema, gli addetti ai lavori potrebbero riconoscere i tratti inconfondibili di Sara Pichelli, Zerocalcare, Gipi, Zuzu, Davide Toffolo, LRNZ, Ale Giorgini, Samuel Spanò, Elena Casagrande, Gloria Pizzilli, Lorenza Di Sepio, Riccardo Guasco, Maicol & Mirco, oltre alla luchadora della Petruccioli.


Ma non è tanto la singola opera a emergere quanto il baluardo artistico che, con questa azione di guerrilla notturna, si innalza a difesa della casa delle donne del quartiere Tuscolano di Roma. È la terza volta nel giro di pochi mesi che il mondo dell’arte condanna, a modo proprio, la politica della sindaca Raggi nei confronti di ‘Lucha y Siesta’.

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A settembre 2019 abitazioni popolari e vari monumenti di Roma come il Pantheon, l’Altare della Patria e la bocca della Verità erano stati illuminati dalle proiezioni del #vendesiroma, un atto provocatorio e dissacratorio insieme, che in tanti cittadini avevano fotografato moltiplicando l’effetto sorpresa nel momento in cui al vendesi si era sostituito “Lucha y Siesta non si chiude. Compriamocela”. A dicembre artiste e artisti di tutta Italia hanno donato opere originali per l’Asta Matite per Lucha indetta dal comitato popolare Lucha alla città nato allo scopo di raccogliere fondi per acquistare lo stabile e restituire a Roma l’esperienza complessiva che Lucha rappresenta, oltre l’immobile in cui risiede. Ora questo lunghissimo muro immaginario, che unisce i quartieri di Roma in un abbraccio tra centinaia di combattenti diverse e afferma con forza che gli spazi delle donne vanno difesi. ‘Lucha y Siesta’ dal 25 febbraio scorso è in presidio permanente: finita nel pacchetto di beni in dismissione per il fallimento concordato di Atac, il prossimo 7 aprile sarà messa all’asta. A nulla sembrano valere, da un lato, la grande mobilitazione comunitaria di difesa della casa, dall’altro, il riconoscimento dell’importanza della struttura da parte dei servizi sociali comunali e della Regione Lazio, che nell’ultimo bilancio ha stanziato 2,4 milioni di Euro per preservarla. Pochi giorni fa un addetto Acea è arrivato a staccare la luce, ulteriore passo del procedimento che dovrebbe condurre all’asta l’immobile, ma ha dovuto desistere di fronte alla resistenza delle attiviste e delle donne che ancora abitano la casa. Vale la pena ricordare, infatti, che ‘Lucha y Siesta’ è anche casa rifugio per donne in uscita dalla violenza di genere oltre che un centro di cultura femminista e transfemminista e che, a differenza da quanto dichiarato ufficialmente, al momento ci sono ancora ospiti per le quali non è stata trovata una sistemazione sostitutiva. Per quelle donne, ma soprattutto per tutte le altre che arriveranno a Lucha in futuro, il mondo dell’arte si deve essere sentito chiamato in causa e ha alzato la sua barricata. Colorata e combattente: in una parola, ‘Luchadora’.

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