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Dal Myanmar al Bangladesh, i missionari raccontano l’odissea Rohingya

La foto del corpo di Mohammed Shohayet, un bimbo morto senza aver compiuto due anni di età, accende le luci sulle drammatiche condizioni dei rohingya

Pubblicato:05-01-2017 13:49
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:46

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ROMA – “In Myanmar i rohingya non li vogliono, ma anche per coloro che rischiando la vita riescono ad arrivare qui in Bangladesh non ci sono prospettive”: a parlare con la DIRE è padre Silvano Garello, dei saveriani, comunità missionaria presente nelle zone di confine dove si concentrano gli sbarchi. Un’odissea, questa della minoranza musulmana, senza Stato né cittadinanza, che continua da anni.

Discriminazioni, repressione e scontri armati nella regione di Rakhine, in Myanmar, e poi traversate ad alto rischio in mare o guadando i fiumi che segnano il confine. Ci ha provato anche Mohammed Shohayet, un bimbo morto senza aver compiuto due anni di età. La fotografia del suo corpo senza vita, riverso nel fango, è stata pubblicata ieri dall’emittente americana ‘Cnn’. A cascata i servizi su alcuni dei principali quotidiani internazionali.


“Quella fotografia l’ho vista in rete, è la conferma di un dramma” dice subito padre Silvano. Convinto che la vicenda dei rohingya sia però più complessa di quello che appare. “Non basta accusare Aung San Suu Kyi e il governo birmano” sottolinea il missionario: “Anche le autorità di Dacca non vogliono accoglierli, perché in Bangladesh ci sono già 160 milioni di persone e quello della terra è un problema sempre più acuto“.

Di certo, l’esodo dei rohingya non si è fermato. Secondo il ministero degli Esteri del Bangladesh, anzi, dall’ottobre scorso gli arrivi dal Myanmar sono stati almeno 50 mila. L’esercito birmano ha attribuito la responsabilità dell’aggravarsi della crisi a gruppi ribelli radicati nel Rakhine, ma c’è chi denuncia invece un’offensiva premeditata. Il risultato è il gonfiarsi dei campi al confine, in particolare nella regione costiera di Cox’s Bazar, nell’estremo sud-est del Bangladesh.

E’ una soluzione non sostenibile alla quale per altro il governo di Dacca non è favorevole” conferma alla DIRE un altro saveriano, padre Giovanni Gargano. I campi sono gestiti dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), che pure ha riferito di un aumento degli arrivi. Nel frattempo, come conferma la stampa di Dacca, sono aumentati sia i posti di blocco che le unità della Guardia costiera. Il loro compito è di impedire lo sbarco di uomini, donne e bambini.

di Vincenzo Giardina

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