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Vittorio Arrigoni rivive nel ‘Ritratto di un utopista’ di Anna Maria Selini

Nel libro pubblicato da Castelvecchi si ripercorrono gli anni in Palestina, attraverso i ricordi delle persone a lui vicine, fino all'assassinio del 2011

Pubblicato:04-11-2019 14:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:55

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ROMA – All’inizio c’è un corpo vivo, muscoloso, aitante. E’ un corpo decorato di piercing e tatuaggi, un corpo che annuncia il suo arrivo con passi pesanti, il tintinnio di un mazzo di chiavi appese alla cintura, l’odore di chi fuma la pipa. E’ un corpo in lotta con se stesso e con gli altri, che racchiude al suo interno uno spirito romantico tormentato. E’ il corpo di Vittorio Arrigoni, detto Vik, giornalista, attivista, pacifista, descritto dalla giornalista Anna Maria Selini nel suo libro ‘Vittorio Arrigoni – Ritratto di un utopista’, pubblicato da Castelvecchi. Un corpo che ha cercato di opporsi alle violenze, e ne è rimasto vittima.

Nel racconto di Anna Maria Selini si ripercorrono i suoi anni passati in Palestina, attraverso i ricordi delle persone a lui più vicine, fino al rapimento e all’assassinio, nell’aprile del 2011. Il suo corpo rientrerà in Italia, ma nessun rappresentante del governo sarà lì ad attenderlo. Una morte su cui non è stata fatta ancora chiarezza, una morte dimenticata troppo presto e seguita da un processo farsa, nell’indifferenza della politica italiana di allora. Partigiano intransigente, un po’ Corto Maltese un po’ Che Guevara, libero dall’influenza dei governi, Vittorio Arrigoni agiva spinto dall’urgenza di difendere e diffondere il rispetto per i diritti umani stando tra la gente, nel cuore delle cose. ‘Restiamo umani’ era il suo messaggio, che oggi continua a ispirare tante persone.

Anna Maria, com’è nata l’idea di scrivere questo libro?


“L’idea è nata lo scorso anno, dal confronto con un’altra giornalista che ha visto il mio documentario su Vittorio Arrigoni trasmesso da Rai Tre. Ho sentito l’esigenza di raccontare ancora la storia di Vittorio perché oggi si cita molto il suo messaggio – ‘Restiamo umani’ – che viene usato come slogan contro il sovranismo, ma in tanti si sono dimenticati cosa c’è dietro quel messaggio”.

Quando hai conosciuto Vittorio Arrigoni?

“Gli scrissi durante l’operazione ‘Piombo fuso’. Ci conoscemmo a Gaza city nel 2009. Vittorio era l’opposto dell’immagine del volontario che ti aspetti di incontrare: era appariscente, prestante, ma non ha mai nascosto questo suo aspetto. Era fuori dall’ordinario e questo non poteva che incuriosire. Ma al di là della politica, della Palestina, di Israele, ciò che ho cercato di recuperare è stata l’anima di Vittorio, la persona, i comportamenti, i modi di fare. E’ per questo che ho scelto di intervistare le persone a lui più care. Io mi reputo fortunata ad averlo incontrato”.

Oggi sembra ancora più difficile pronunciare l’invito a restare umani di Arrigoni.

“Sì, è vero. Si fa fatica a restare umani nella disumanità. Per questo è importante raccontare la storia di Vittorio e del suo motto. I giovani lo conoscono e lo citano, ma a volte senza sapere qual è la genesi. Per questo mi piacerebbe portare la sua testimonianza in giro per l’Italia, soprattutto tra i giovani. Intanto posso anticipare che ne parlerò a Roma, alla librerie Le Storie, il prossimo 28 novembre”.

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