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Mafia, arrestato collaboratore di un parlamentare: favoriva detenuti vicino a Matteo Messina Denaro

Antonino Nicosia, componente del Comitato nazionale dei radicali italiani, parlava di Falcone e Borsellino come vittime di un "incidente sul lavoro"

Pubblicato:04-11-2019 08:43
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:55
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PALERMO – C’è anche un esponente dei Radicali italiani tra i cinque fermati a Sciacca, nell’ambito del blitz ‘Passepartout’, perchè accusati di essere “organici” alla famiglia mafiosa della cittadina in provincia di Agrigento: si tratta di Antonino Nicosia, componente del Comitato nazionale dei radicali italiani e direttore della Onlus ‘Osservatorio internazionale dei diritti dell’uomo’. In corso anche decine di perquisizioni in abitazioni, uffici, aziende e negozi nella disponibilità degli indagati: impegnati nel territorio di Sciacca oltre cento tra uomini delle fiamme gialle di Palermo e del comando provinciale di Agrigento e carabinieri del Ros.

Nicosia, che aveva accesso ad alcuni istituti di detenzione, si sarebbe “adoperato fattivamente al fine di favorire alcuni detenuti rientranti nel circuito del latitante Matteo Messina Denaro“, tra cui il cognato del boss di Castelvetrano, Filippo Guttadauro, attualmente sottoposto al regime del carcere duro. Nicosia è infatti collaboratore di un parlamentare di Italia Viva, Giuseppina Occhionero, estraneo alla vicenda. La deputata, però, aveva interrotto i rapporti con Antonello Nicosia da oltre un anno. A quanto apprende l’agenzia Dire, la deputata ha avuto con Nicosia solo una breve collaborazione. I Radicali italiani, intanto, prendono le distanze.  Maurizio Turco, già deputato, segretario del Partito rende noto: “Pur ricordando che al Partito Radicale si può iscrivere chiunque e nessuno può essere espulso per qualsiasi motivo, il Signor Antonello Nicosia, arrestato a Palermo per fatti di mafia, non è stato mai iscritto al Partito Radicale“.

L’indagato avrebbe fatto un “uso strumentale” del rapporto di collaborazione il parlamentare “per accedere all’interno di diverse carceri italiane “ed avere – sostengono gli investigatori – contatti anche con esponenti reclusi di Cosa nostra”. “In virtù” di questo rapporto di collaborazione, Nicosia ha partecipato ad alcune ispezioni carcerarie parlamentari “e ha sicuramente”, evidenziano gli investigatori, fatto accesso all’interno delle carceri di Sciacca, Agrigento, Trapani e Tolmezzo (Udine) “senza la preventiva autorizzazione del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e ciò sfruttando – ancora gli inquirenti – le prerogative riconosciute dalle norme sull’ordinamento carcerario ai membri del Parlamento e a coloro che li accompagnano”.


NICOSIA INTERCETTATO: CAMBIARE NOME ALL’AEROPORTO DI PALERMO

All’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo bisognava “cambiare nome”. Ne era convinto Antonello Nicosia che in una intercettazione ambientale si esprimeva così riferendosi all’intitolazione dello scalo palermitano ai due magistrati uccisi dalla mafia nel 1992: “Ma perchè dobbiamo spiegare chi sono? Perchè dobbiamo sempre ‘arriminare’ la stessa merda?”. 

Secondo Nicosia i due magistrati sono stati vittime di un “incidente sul lavoro”, e inoltre, riferendosi a Falcone, l’esponente dei radicali italiani chiosava: “Ma poi quello là non era manco magistrato quando è stato ammazzato, aveva un incarico politico, non esercitava”. Il riferimento è al ruolo di Falcone come direttore generale degli Affari penali.

OPERAZIONE ‘PASSEPARTOUT’,  I 5 FERMI NELL’AGRIGENTINO 

Questi i nomi dei cinque fermati: Accursio Dimino, 61 anni; Antonino Nicosia, detto Antonello, 48 anni; Paolo Ciaccio, 33 anni; Massimiliano Mandracchia, 46 anni. Secondo gli investigatori l’indagine avrebbe fatto emergere la “figura carismatica” di Dimino, detto ‘Matiseddu’, che nei primi anni Duemila sarebbe diventato capo della famiglia mafiosa di Sciacca. 

“A partire dalla sua scarcerazione – sottolineano gli inquirenti – sono stati documentati rapporti con soggetti mafiosi di Sciacca, Castellammare del Golfo (Trapani) e con taluni personaggi contigui alla famiglia mafiosa Gambino di New York”. Tra i fatti contestati dalla Dda a Dimino anche pressioni su imprenditori locali “per consentire a imprese riconducibili a propri sodali di ottenere appalti”, il recupero crediti a beneficio di persone legate alla mafia e “propositi di danneggiamenti per finalità estorsive”. 

Per quanto riguarda Nicosia, le indagini avrebbero evidenziato il suo “pieno inserimento nel contesto mafioso saccense”. L’uomo avrebbe profuso il suo impegno per la realizzazione di un non meglio delineato “progetto” riguardante il settore carcerario e che “interessava direttamente – sostengono gli investigatori – il latitante Matteo Messina Denaro”: da quest’ultimo Nicosia si aspettava un ingente finanziamento “per l’opera svolta”. 

Oltre ai fermi, carabinieri e guardia di finanza hanno sequestrato disponibilità finanziarie e patrimoniali agli indagati, tra cui una carta di credito collegata a conti esteri e una imbarcazione.

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