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RECENSIONE | ‘PADRENOSTRO’: gli anni di piombo attraverso gli occhi di un bambino

Pierfrancesco Favino protagonista, si e' aggiudicato la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile alla Mostra del Cinema di Venezia

Pubblicato:04-09-2020 17:30
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:50

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VENEZIA – Pierfrancesco Favino trionfa alla Mostra del Cinema di Venezia e porta a casa la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile grazie a ‘PADRENOSTRO’, film di Claudio Noce. La pellicola, ambientata a Roma nel 1976, e’ tratta da una storia vera, quella dell’attentato terroristico dei Nuclei Armati Proletari al vicequestore Alfonso Noce, padre del regista e interpretato da Favino. A raccontare i fatti e’ pero’ lo sguardo di un bambino di appena 10 anni, Valerio, alter ego del regista e testimone dell’assalto ai danni del padre, splendidamente interpretato dal giovane Mattia Garaci. Il vicequestore sopravvivera’ all’attentato ma le cicatrici emotive, ancor piu’ di quelle fisiche, avranno bisogno di molto tempo per rimarginarsi. Questo vale ancor piu’ per il piccolo Valerio che da quel giorno vivra’ nella paura costante di poter perdere il padre, mentre l’immagine del terrorista Martino Zicchitella coperto di sangue a terra, che lo guarda prima di morire, continuera’ ad essere stampata davanti ai suoi occhi. Ad aiutarlo in questo momento difficile, l’incontro con Christian (Francesco Gheghi) un ragazzo che sembra comparire dal nulla: nascera’ un’amicizia catartica che fara’ cadere il muro tra buoni e cattivi che negli anni di piombo divideva l’Italia a meta’.

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Il film, “una lettera aperta a mio padre”, come l’ha definita il regista, e’ il racconto di come la generazione dei ragazzi cresciuti negli Anni 70 ha vissuto il terrorismo, ascoltando le notizie dalla tv e i commenti dei genitori nascosti dietro la porta, “di quella generazione di ‘silenti educati‘, che proprio perche’ non ha partecipato a grandi eventi storici e’ stata messa in un angolo silenziosamente e alla quale e’ stato forse impedito di dire ‘noi l’abbiamo vissuta cosi’”, ha dichiarato Favino durante la conferenza stampa di presentazione al Lido, spiegando le motivazioni che l’hanno spinto a interpretare e produrre il film. “Siamo una generazione laica, capace di guardare diversamente a quegli eventi, e questo ha generato una cultura e un cinema che non ha bisogno di mettersi dalla parte del bianco o del nero. Noi non abbiamo avuto il problema di doverci schierare, perche’ i figli degli uni e degli altri hanno condiviso i bisogni infantili”, ha spiegato.

Altra ragione che ha spinto Favino a sposare il progetto della pellicola e’ l’indagine che questa fa del rapporto padre figlio anch’esso specchio dei costumi di un periodo storico in cui “tenerezza significava debolezza”. Alfonso e’ quel ‘Padre Nostro’ presente anche quando non c’e’ e allo stesso tempo e’ il padre di tutti i ragazzi di quell’epoca, in quanto ne rispecchia appunto alcuni caratteri peculiari (queste le motivazioni della scelta del titolo dichiarate dal regista). Il film riesce nell’intento di immergere lo spettatore negli avvenimenti dell’epoca catturandolo emotivamente, anche grazie all’ottima interpretazione del cast, mai sopra le righe, ma, inseguendo il suo ‘desiderio pacificatore’ si affida a stratagemmi narrativi poco originali, che ne determinano la non completa riuscita.

(Credits La Biennale di Venezia – Foto ASAC, photo by Giorgio Zucchiatti)

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