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VIDEO | “Sul calo esponeziale delle nascite nel 2021 inciderà anche il Covid”

Lo dichiara alla Dire Fabio Mosca, presidente della Società italiana di Neonatologia (Sin), confermando le previsioni sulla denatalità dell'Istat

Pubblicato:04-09-2020 10:44
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:50
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https://youtu.be/DyUwEH3XRAo

ROMA – “Ogni anno perdiamo dalle 17 alle 19mila nascite ed è ovvio che il Covid, avendo creato incertezza e preoccupazione, i due grandi motori che rallentano l’idea di procreare, aumenta la probabilità di scendere sotto le 400mila nascite nel 2021. Il Covid inciderà in maniera esponenziale su questo calo, perchè si va a inserire una variabile negativa su un terreno che già è grandemente in difficoltà da tempo”. Lo dichiara alla Dire Fabio Mosca, presidente della Società italiana di Neonatologia (Sin), confermando le previsioni sulla denatalità del presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo.

Analizzando la storia recente della nostra nazione, il presidente ricorda che “abbiamo avuto momenti con crisi peggiori del Covid. Nel 1918, nella prima guerra mondiale, in Italia nascevano più di 600mila bambini; nel 1945, seconda guerra mondiale, più di 800mila. Il calo della natalità è un problema rilevante da tempo, perchè dal 2008 abbiamo perso 120mila nascite e dal 1993 siamo un Paese che ha più morti rispetto ai parti. Nel 2018- prosegue il neonatologo- abbiamo registrato 193mila decessi in più delle nascite. È un saldo negativo che equivale alla sparizione ogni anno di città come Modena, Taranto e Parma”. 


Cercando di evidenziare il problema della denatalità, il presidente Mosca aggiunge: “Dal 2008 al 2017 abbiamo perso 900mila donne nell’età tra i 15 e i 49 anni, ovvero il patrimonio di donne che potenzialmente può procreare. Questo, giustifica i due terzi del calo della natalità, il resto è causato dal fatto che comunque si fanno meno figli a testa. Il dato italiano è di 1,3 figli per ogni donna e, in questa media, ci sono anche le partorienti straniere che alzano il numero. Peggio di noi fanno solo Corea, Malta e Spagna, che hanno indici di fecondità più bassi”. 

In sintesi il presidente della Sin delinea due problemi: “Ci sono meno donne in età per procreare e le stesse fanno meno figli. La causa si ritrova nel fatto che solo il 60% delle donne italiane nel periodo fertile ha un lavoro. Quelle che non lavorano più difficilmente fanno figli. La prima misura da adottare- sottolinea- è di dare un lavoro sicuro alle donne”. 

Sotto la lente d’ingrandimento, però, ci sono anche gli uomini. “Rispetto alla media europea- evidenzia il presidente della Sin- nella fascia d’età tra i 25 e i 35 anni, lasciano più tardi il tetto familiare. Il 50% di loro vive ancora con i genitori e, chi vive questa condizione, non ha un progetto di famiglia e di diventare padre. Non lasciano casa perchè hanno un lavoro instabile e perchè vivere soli ha dei costi rilevanti. Quindi- conclude Mosca- serve una politica di sostegno per incentivare l’autonomia dei giovani”.

 

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