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Concepire in provetta, viaggio nei numeri della Pma

La procreazione medicalmente assistita ha un ruolo fondamentale nella capacità riproduttiva del popolo italiano: 2 bambini su 10 vengono dalla Pma.

Pubblicato:04-09-2019 09:16
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:39
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cancro al seno gravidanza
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ROMA – La voce degli esperti, i rischi, le osservazioni e i numeri della procreazione medicalmente assistita in Italia. Ecco la prima puntata di uno Speciale dedicato alla Pma che DireDonne, Dire Psicologia e Dire Sanita’ dedicheranno a questo tema non trascurando le implicazioni etiche e mediche sulla salute delle coppie che vi accedono e soprattutto dei bambini che nasceranno.

I NUMERI

‘La procreazione medicalmente assistita ha un ruolo fondamentale nella capacita’ riproduttiva del popolo italiano: 2 bambini su 10 vengono dalla Pma. Oggi in Italia si fanno 75.000 Pma l’anno, di cui 35.000 sono eterologhe. La popolazione fertile ricorre almeno nel 12-14% dei casi alla procreazione assistita’. A parlare, intervistato dall’agenzia Dire, e’ Luca Mencaglia, presidente Fondazione PMA e direttore della Rete regionale sulla prevenzione e cura dell’infertilita’ della Regione Toscana.
‘La procreazione medicalmente assistita e’ cambiata- continua il professore- perche’ i risultati sono cambiati. Fino a 10 anni fa avevamo il 10-15% delle gravidanze in tutti i soggetti che si avvicinano alla Pma, oggi viaggiamo su stime del 40%’. Per quanto riguarda l’eterologa, ‘e’ possibile in Italia solo da 4 anni, prima era vietata dalla Legge 40. Erano 35.000 le coppie che si cimentavano nel viaggio della speranza verso la Spagna, la Grecia e i paesi dell’Est. Numeri che si sono ridotti in parte perche’ si puo’ fare l’eterologa in Italia, ma sono ancora 10.000 le coppie costrette ad andare all’estero’. Resta infatti un vulnus nel nostro Paese: ‘Non e’ possibile fare una donazione in Italia, dobbiamo ricorrere alle banche straniere. Non e’ piu’ la coppia che deve andare all’estero, ma sono i gameti che vengono importati dall’estero per arrivare nel nostro paese’.


I COSTI E L’ONCOFERTILITA’

‘Il 47% dei casi e’ a carico del Sistema sanitario nazionale (Ssn) o del Sistema sanitario regionale (Ssr) a seconda delle regioni’, chiarisce sempre Luca Mencaglia nel corso della sua intervista. ‘La preservazione e’ una procedura gratuita per chi ha una malattia oncologica o cronica invalidante che colpisce la fertilita’. In alcune regioni, come il Friuli Venezia Giulia e la Toscana, e’ gratuita anche per chi lo voglia fare per ragioni sociali a condizione che doni una parte dei propri gameti ad altre persone che ne hanno bisogno’, spiega il direttore della Rete regionale sulla prevenzione e cura dell’infertilita’ della Regione Toscana.

L’oncofertilita’ e quindi la preservazione della fertilita’ in donne giovani che a causa delle terapie possono vedere compromessa la propria capacita’ riproduttiva puo’ avvenire, in base alle storie cliniche delle pazienti, mediante crioconservazione degli ovociti e quindi con stimolazione ormonale controllata, oppure crioconservando tessuto ovarico. All’oncofertilita’ DireDonne e Dire Sanita’ dedicheranno uno speciale con una diretta fb e la storia di una giovane donna.

I NUMERI DEL SUCCESSO: DOPO I 38 ANNI DAL 12% ALL’8%

Il successo della tecnica ‘e’ una questione direttamente correlata all’eta’ della donna che fa parte della coppia. In una donna dai 30 ai 35 anni le percentuali di successo vanno dal 40 al 50% nei casi di eterologa. Nelle donne dai 38 anni in su- ha proseguito Luca Mencaglia, direttore della Rete regionale sulla prevenzione e cura dell’infertilita’ della Regione Toscana – ed e’ l’eta’ che principalmente hanno le donne che si rivolgono a noi, le percentuali scendono al 10-12% o all’8%. Dopo i 43 anni scendono allo zero per cento. Sappiamo che a quel punto solo l’eterologa puo’ aiutare questo tipo di donne e noi vorremmo che fosse una eterologa italiana e non una straniera’.

FONDAZIONE PMA: NON C’È RISCHIO MALFORMAZIONE NEI NATI

‘Tutti gli studi clinici internazionali – e mi riferisco alla Societa’ europea human reproduction, la piu’ grande al mondo – dicono che le malformazioni, o meglio le alterazioni genetiche, sono uguali a quelle che si hanno in qualunque coppia che cerchi un figlio e sono correlate all’eta’ della donna. Quello che cambia- ha puntualizzato l’esperto- sono alcune alterazioni che si presentano leggermente piu’ alte, perche’ dobbiamo sempre ricordare che quella coppia e’ infertile. Spesso nel maschio c’e’ un problema e quel tipo di maschi ha comunque un’incidenza di alterazioni leggermente piu’ alta che non e’ dovuta alla Pma, ma alla tipologia di persone che si sottopongono alla procedura. Esiste in alcune regioni, come in Toscana, la possibilita’ di effettuare il test genetico preimpianto sull’embrione. Su questo fronte i pediatri hanno raccolto le loro osservazioni, fornendo dati e pareri che non mancheremo di riproporre. Sono infatti in programma degli incontri sul tema nella sede della Dire.

DAI PEDIATRI UNA VOCE DISCORDANTE: C’E’ RISCHIO MALFORMAZIONI. E’ LA PMA O L’ETÀ DELLE MADRI?

‘Grazie alla presenza di casistiche longitudinali, ma anche di esperienze sul territorio che incrociano dati di prevalenza di alcune patologie, soprattutto quelle da imprinting genomico, si vanno evidenziando dei rischi relativi in relazione all’emergenza di queste nuove patologie. Sono delle malattie che si caratterizzano per la modifica chimica del Dna.

Parliamo di metilazione e scitilazione che determinano ovviamente una variabile espressione di alcune regioni del nostro genoma, che sono sottoposte a dei meccanismi sicuramente molto complessi e non completamente ancora compresi’. Ha lanciato un messaggio di prudenza Davide De Vecchio, ricercatore in Biologia Umana e Genetica Medica dell’Universita’ degli Studi di Roma ‘LaSapienza’ e consigliere junior della Societa’ italiana di Pediatria, intervistato dall’agenzia Dire sulla PMA.

‘Sulla percentuale di patologie da imprinting genomico- ha spiegato- abbiamo sicuramente un rischio relativo maggiore. E’ stato fatto al livello territoriale uno studio sui nati affetti da una particolare patologia, la sindrome di Beckwith-Wiedemann, che assesta nei neonati da Pma un rischio relativo 10 volte maggiore rispetto all’incidenza della stessa malattia nella medesima regione nei non nati da procedure di Pma’. Importante e’ ‘la gestione di casi complessi sin dai primi giorni di vita, proprio perche’ c’e’ la necessita’ di un approccio spesso multidisciplinare.

Alcune complicanze, che possono verificarsi nei casi ovviamente di macrosemia fetale legati ad un’ipoglicemia neonatale, devono essere trattate il piu’ precocemente possibile in centri addirittura di terzo livello. Non tutte le tecniche di fecondazione assistita – ha sottolineato il ricercatore- sono egualmente imputate. Questo perche’ sembrerebbe che delle metodiche, come l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo, farebbero saltare alcuni meccanismi fini epigenetici di regolazione del Dna, e quindi di demetilazione e rimetilazione, in una fase critica quale quella della formazione dello zigote, rispetto ad altre tecniche di fecondazione in vitro.

Ci sono tutta un’altra serie di rischi dovuti alle gravidanze gemellari e a quello che comporta ovviamente il trasferimento in utero di piu’ embrioni e al successivo sviluppo di possibili alterazioni del circolo fetoplacentare, soprattutto quando otteniamo gravidanze trigemine o superiori’. Ancora una volta torniamo al corpo della madre.

‘L’eta’ della madre incide tantissimo in tutta la patologia genetica in generale. Oggi con una prima gravidanza che si attesta all’incirca ai 32 anni per le nostre donne italiane- ha aggiunto Vecchio- non possiamo escludere che ci sia un fattore che vada intrinsecamente a correlarsi con un rischio cosiddetto cronologico che non segue piu’ il timing biologico per una prima gravidanza’.

‘MOLTE COPPIE NON VOGLIONO FAR SAPERE DI AVER AVUTO UN FIGLIO CON PMA’

‘Il 65- 67% dei cicli di Pma e’ a carico del Sistema sanitario nazionale’ ha sottolineato Giulia Scaravelli responsabile del Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita dell’Istituto superiore di sanita’, intervistata dalla Dire, che infatti a proposito dell’Italia ha parlato di una ‘situazione buona’ anche se forte e’ la criticita’ delle ‘discrepanze tra le regioni.

Resta il problema – ha ribadito- delle cosiddette ‘eterologhe’ (anche se il termine non e’ corretto, sono Pma con donazione) perche’ le donatrici non vengono pagate e c’e’ un tavolo al ministero su questo per recepire decreti legislativi europei.

Nel nostro registro abbiamo dati per ogni centro PMA e relativi problemi di infertilita’: se maschile o per endometriosi, numero dei cicli di crioconservazione e non solo cicli a fresco’. Questa mappatura consente quindi di determinare anche la specializzazione di ogni singolo centro per ogni specifica patologia. ‘Obiettivo – ha detto Scaravelli- e’ il trasferimento di ogni singolo embrione perche’ non bisogna ottenere solo una gravidanza, ma un singolo bambino’.

‘Le coppie che ricorrono alla Pma sono aumentate a causa del concepimento tardivo del primo. L’eta’ media e’ di 37 anni, la piu’ elevata in tutta Europa, e il 35% delle donne ha piu’ di 40 anni’. La questione dei gameti rappresenta una criticita’ importante se pensiamo che ‘il 12% dei cicli avviene con donazione di gameti’ e quindi con importazione per ‘ben 6 o 7mila cicli’.

I dati del registro ‘coprono il 100% fino alla gravidanza, ma sull’esito si perde una quota parte che varia da regione a regione’. Le coppie non tornano e il ‘numero di nati e’ inferiore alla realta’, perche’ molti non vogliono far sapere che hanno avuto un figlio con PMA. In futuro avremo piu’ dati sui nati’. Un appello alle ragazze. ‘Non e’ consigliabile- ha concluso Scaravelli- arrivare tardivamente.

La fertilita’ ha una data di scadenza e anche con donazione bisogna ricordare che gioca il suo ruolo il corpo della donna ricevente’. Quanto a tecnica e malformazioni secondo le rilevazioni del registro, che segue lo schema internazionale Eurocat: ‘con ICSI c’e’ un rischio lievemente aumentato per patologia malformativa non grave. Speriamo che dal dato aggregato si possa passare a dati per ogni ciclo’.

Rachele Bombace e Silvia Mari

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