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Il mondo guarda a Taiwan e trema ma per l’esperto “la gente è abituata, e tranquilla”

Il ricercatore Michel Chambon: "Fino agli anni '80 la guerra con la Cina era una prospettiva concreta, poi è arrivata la svolta democratica"

Pubblicato:04-08-2022 17:09
Ultimo aggiornamento:04-08-2022 17:09
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ROMA – Il mondo guarda con timore a cosa sta avvenendo nelle acque attorno a Taiwan, dove vanno a spegnersi i missili lanciati dalla Cina nell’ambito di una serie di esercitazioni militari definite “senza precedenti” da numerosi osservatori. Nell’isola però, il clima potrebbe essere diverso, visto che i taiwanesi hanno sviluppato una risposta culturale alla minaccia permanente di Pechino che gli permette di mantenere un certo equilibrio anche in una situazione del genere”. L’osservazione è dell’antropologo culturale ed esperto di estremo oriente Michel Chambon, che vive a Singapore, dove è ricercatore presso l’Università nazionale, ma che conosce bene Taiwan e anche la Cina, dove ha anche vissuto.
L’agenzia Dire lo intervista il giorno dopo il lancio, da parte di Pechino, di una serie di esercitazioni militari che sono continuate anche oggi e che hanno incluso prove di assalti via mare e via terra.

LE MANOVRE MILITARI CINESI DURANTE LA VISITA DELLA SPEAKER NANCY PELOSI

Secondo quanto riferisce il quotidiano filo governativo in lingua inglese Global Times, è previsto che missili cinesi convenzionali attraversino lo spazio aereo di Taiwan mentre mezzi militari di Pechino dovrebbero varcare la soglia delle 12 miglia nautiche dal territorio dell’isola, due prime volte nella storia delle relazioni fra i due Paesi. Le forze armate di Taiwan sono in allerta.
Il tutto è avvenuto mentre a Taipei sbarcava la speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, che oggi è di visita in Corea del Sud, in quella che Pechino ha definito una “violazione della sua sovranità” sull’isola.
Il clima è descritto come particolarmente teso dalla stampa internazionale e da diversi analisti concordanti. Secondo Chambon, che è anche uno dei coordinatori dell’Initiative for the Study of Asian Catholic (Isac), per comprendere al meglio cosa sta succedendo è necessario capire la storia recente del Paese insulare, la cui proclamazione come Stato de facto è avvenuta nel 1949, al termine dalla ventennale guerra civile cinese tra il Partito comunista e i nazionalisti del Kuomintang, che sconfitti stabilirono sull’isola la loro repubblica. Taiwan è considerato pienamente parte del suo territorio da Pechino e buona parte dei Paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti, non ne riconoscono l’indipendenza. Taipei intrattiene comunque relazioni diplomatiche con questi Paesi.

CHAMBON: FINO AGLI ANNI ’80 CI SI PREPARAVA ALLA GUERRA

“Fino agli anni ‘80 Taiwan era in constante preparazione di un conflitto con la Cina– spiega Chambon-, era l’epoca della dittatura del Kuomintang che governava il Paese anche grazie a questa minaccia latente e che aveva l’obiettivo ideale di ristabilire la repubblica sulla terraferma. Negli anni ‘90, con l’avvento della democrazia, quella tensione è diminuita. I taiwanesi comunque sono preparati a un conflitto”.
In questa fase storica però, le ragioni per scendere in campo sarebbero molto diverse secondo Chambon, che è nativo della Francia ed è anche teologo ed esperto del cattolicesimo nella regione cinese. “Oggi dubito che qualcuno prenderebbe le armi con l’idea di riprendersi la Cina. Lo scopo di un conflitto adesso sarebbe probabilmente quello di difendere il modello politico cresciuto negli anni sull’isola”.
Il riferimento è alla trasformazione cominciata a partire dai primi anni ‘90, quando lo stesso Kuonmintang revocò la legge marziale e diede il via a una transizione verso il sistema multipartitico e con libere elezioni che vige oggi.


“L’ISOLA VERSO LA DEMOCRAZIA E LA CINA VERSO LA DITTATURA”

Lo scenario che si svolge nello stretto di Taiwan è segnato da processi evolutivi quindi, ma anche da dinamiche regressive, come quella che si osserverebbero a Pechino. Questa almeno la tesi di Chambon: “Dieci anni fa la Cina era, sì, un sistema monopartitico, ma non una quasi dittatura come è ora. Questa regressione- argomenta ancora il ricercatore- ha influito molto nei rapporti con Taiwan: se prima gli abitanti dell’isola speravano nella possibilità di una unione con la terraferma, e magari avrebbero anche trovato un accordo rispetto a una prospettiva del genere, ora questo desiderio è venuto meno”.


A caratterizzare chi vive sull’isola di Formosa, questo il nome dato dai conquistatori portoghesi al fazzoletto di terra che ospita la stragrande maggioranza del territorio di Taiwan, c’è comunque una tranquillità di fondo che secondo Chambon è un tratto distintivo del modo di vivere dei locali, forgiato dagli anni di tensioni di cui l’esperto ha già parlato. “La consapevolezza della gravità della situazione c’è, soprattutto alla luce di quanto avvenuto a Hong Kong, dove è di fatto venuto meno il principio del ‘una patria due sistemi’ su cui si articolavano i rapporti con Pechino”, premette l’esperto.
“I taiwanesi hanno costruito però una loro peculiare ‘arte di vivere’ che è unica, una vera e propria risposta culturale a questo stato di tensione che non li fa andare nel panico”.

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