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Ucraina, l’attivista: “Il giornalismo dia spazio anche ai racconti dei pacifisti”

Intervista a Sara Alawia, portavoce della terza missione 'Safe passage' della ong Mediterranea Saving Humans

Pubblicato:04-05-2022 09:11
Ultimo aggiornamento:04-05-2022 09:18

mediterranea ucraina
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ROMA – “I giornalisti devono dare spazio alle componenti della società civile ucraina che vogliono costruire una resistenza non violenta e a coloro che chiedono il cessate il fuoco, creando anche ponti tra le realtà analoghe in Russia e nel resto dell’Europa. Ci sono, e sono tante, e chiedono che non si getti benzina sul fuoco, ma purtroppo restano inascoltate”. A parlare è Sara Alawia, portavoce della terza missione ‘Safe passage’ di Mediterranea Saving Humans. L’agenzia Dire la intervista in occasione della Giornata internazionale per la libertà di stampa, che in Italia prende il titolo ‘per un’informazione costruttiva’ e vede al centro di varie riflessioni anche il modo di raccontare il conflitto ucraino.

La chiamata con l’attivista e volontaria avviene in una stazione di servizio nel sud della Polonia, dove la carovana ha deviato per accompagnare da amici una signora anziana. “Ci aspettano almeno 24 ore di viaggio” dice Alawia, “e vogliamo arrivare il prima possibile: con noi ci sono altre 27 persone traumatizzate dai bombardamenti continui, che hanno bisogno di riposo“. Il convoglio è arrivato qualche giorno fa fino a Kiev per portare dall’Italia aiuti umanitari, con l’obiettivo di offrire al ritorno dei passaggi in sicurezza ai profughi.

“Ciò che più ci ha colpito di questa missione – racconta la portavoce, che aveva già preso parte alla prima nella seconda metà di marzo – è l’enorme richiesta di aiuti di base giunta delle diverse realtà della società civile ucraina con cui ci siamo incontrati. Una ad esempio prepara pacchi alimentari per 200 famiglie ogni giorno dall’inizio del conflitto e ora ci ha detto di essere al limite. Servono cibo e medicinali“. Una richiesta che, ammette Alawia, “non immaginavamo di tali proporzioni. E non ci capacitiamo di quanto i Paesi europei spendono per inviare armi. È legittimo il diritto di un popolo aggredito di difendersi, ma quello che manca è una voce autorevole che fermi l’escalation verso la guerra mondiale e apra spazi di diplomazia. Dall’Unione europea ci aspettiamo politiche molto diverse“.


In Ucraina, i volontari denunciano anche un elevato grado di distruzione: “È stato emotivamente difficile attraversare in auto Bucha e Irpin – continua Sara Alawia – dove i bombardamenti hanno sventrato strade e palazzi, e i checkpoint militari sono ovunque. Quanto a Kiev, non sembra una capitale: è una città svuotata, i pochi rimasti vivono nella tensione di ciò che potrebbe accadere il 9 maggio”, giorno in cui si celebra la vittoria della Russia sui nazisti nel 1945 e, per il suo valore simbolico, si temono ulteriori mosse da parte del Cremlino.

La prospettiva di pace insomma non potrebbe essere più lontana, ma non per questo “la gente non la cerca” assicura Alawia, che cita i diversi incontri con i movimenti pacifisti ucraini del Non Violence International Network: “Lavorano a Kiev e in tante altre regioni dell’Ucraina sin dalla fine della guerra del 2014 per la prevenzione dei conflitti. I referenti ci hanno detto quanto sia difficile fare attivismo per la pace, in un momento in cui la guerra c’è ancora, e delle tante azioni di resistenza non violenta che non ricevono attenzione”. Dalle manifestazioni per la pace degli abitanti di Kherson, allo sforzo dei volontari di assicurare aiuti alla popolazione, fino alle azioni della popolazione russa contraria alla guerra.

“Mediterranea, come il Network, crede che la pace sia un lavoro costante” e creando ponti con tali realtà, l’ong punta a “un’iniziativa diplomatica dal basso che porti soluzioni laddove la diplomazia delle nazioni ha fallito“. L’obiettivo dell’ong, che nacque per il salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, è anche spingere l’Ue e i governi a una politica equa sui profughi: “È bellissimo vedere tanto slancio verso i profughi ucraini e lo stesso deve valere per chi fugge da guerre e torture attraverso la Libia. Basta respingimenti e naufragi in mare”.

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