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Parata fascista a Milano, Berizzi: “Colpo gobbo alle istituzioni” VIDEO

Inviato de La Repubblica, indaga su una organizzazione nazionalsocialista ed è sotto tutela dopo aver subito vandalismi nei pressi di casa e minacce online

Pubblicato:04-05-2017 17:05
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:11

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NAPOLI – “Bene proteggere i cronisti che sono esposti a minacce e a rischi ma lo Stato può e deve fare di più“. A dirlo all’agenzia Dire è Paolo Berizzi, inviato de La Repubblica che indaga su una organizzazione nazionalsocialista della provincia di Varese, messo sotto tutela dalla prefettura di Bergamo dopo aver subito vandalismi nei pressi di casa e minacce online.


“LE LEGGI CI SONO, VANNO FATTE RISPETTARE”

“L’Italia – aggiunge – ha la possibilità di sciogliere non domani, ma già ieri le bande nere, quelle organizzazioni e quei gruppi neonazisti che operano nel nostro Paese quasi indisturbate, nell’indifferenza generale. Le leggi (la legge Scelba del 1952 e la legge Mancino del 1993, che condannano l’apologia di fascismo e discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ndr) ci sono e vanno fatte rispettare”.

E la parata nera dello scorso sabato 29 aprile al Campo 10 del cimitero Maggiore di Milano, partecipata da un migliaio di esponenti di estrema destra giunti dopo una marcia compatta per le vie della città, è per Berizzi “un colpo gobbo alle istituzioni” che l’avevano vietata per il giorno della Liberazione.


Nelle ultime ore il pm di Milano Alberto Nobili, a capo del pool antiterrorismo e di contrasto alle attività eversive, ha aperto un fascicolo per le ipotesi di reato di “manifestazione fascista” e “manifestazione non autorizzata” a carico di una settantina di persone identificate tra cui il leader di CasaPound Italia, Gianluca Iannone, già formalmente indagato.

“Avevamo avvertito in diversi articoli – sottolinea il cronista – che questi gruppi avevano tentato di aggirare il divieto imposto dalla prefettura e dalla questura di Milano per il 25 aprile. Ci sono riusciti“.

“L’articolo 7 della legge Mancino dà al magistrato inquirente la possibilità di inibire da subito questi gruppi. Senza attendere sentenze definitive. Farlo – conclude Berizzi – prima ancora che una questione di diritto penale, credo sia un fatto di civiltà“.

di Carmen Credendino, giornalista professionista

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