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Danni gravissimi a neonato non trasfuso, risarcimento da 3 mln. Ma il Fatebenefratelli non vuole pagare

La vicenda risale al 2002: il piccolo, che ora ha 15 anni, ha riportato paralisi celebrale infantile, ritardi neuro-cognitivi, distonia, sindrome atetosica

Pubblicato:04-05-2017 12:44
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:11

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ROMA – Quel bimbo, appena nato, avrebbe dovuto essere sottoposto subito ad una trasfusione, visti i valori elevatissimi di bilirubina trovati nel sangue. Questo non venne fatto e per questo ora, con una sentenza che arriva a 15 anni dai fatti, il Tribunale civile di Roma ha condannato l’ospedale religioso San Pietro-Fatebenfratelli, a pagare un risarcimento di 3 milioni di euro alla famiglia del ragazzo che ha riportato danni gravissimi: paralisi cerebrale infantile, ritardi neuro-cognitivi, distonia, sindrome atetosica; il bambino inoltre è ipovedente e affetto da grave ipoacusia. Per Roberto Simioni, presidente di ‘Obiettivo Risarcimento’, si tratta di una “incredibile vicenda di malasanità”. A fronte del quale l’ospedale non intende pagare, tanto che la famiglia procederà con la richiesta di pignoramento. E chiede di incontrare Papa Francesco per ricevere da lui “carità e aiuto”.

“Si tratta di uno dei più importanti ospedali di Roma, il San Pietro-Fatebenfratelli, nosocomio religioso sulla Cassia e gestito dall’ente ‘Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli’, ed è protagonista di una incredibile vicenda di malasanità che sfocia in un risarcimento record del valore di 3 milioni di euro”, dice Simioni, presidente di ‘Obiettivo Risarcimento‘. Il team legale che assiste la famiglia, unitamente alla società di tutoring, spiega è stato “costretto a precettare il nosocomio ospedale San Pietro-Fatebenefratelli in vista di quella che sarà l’azione dirimente della vicenda: il pignoramento, dal momento che l’ente non intende onorare il risarcimento spettante alla famiglia. Si tratta di un allungamento ulteriore dei tempi- spiega Simioni- che non fa altro che protrarre questo calvario.

La vicenda risale infatti al 2002, ma la sentenza è arrivata solo a settembre 2016 ed è diventata esecutiva da pochi giorni. Il piccolo è rimasto gravissimamente lesionato (paralisi cerebrale) subito dopo il parto in seguito ad una mancata trasfusione che il giudice ha valutato come necessaria. “La consulenza medico-legale, disposta dal giudice nel corso del processo- spiega ancora Simioni- conferma l’omessa terapia trasfusionale che, invece, si imponeva dato che nel piccolo era stato riscontrato un elevatissimo livello di bilirubina nel sangue in ragione dell’incompatibilità del suo gruppo sanguigno con quello della madre”. I danni patiti dal minore, che oggi ha 15 anni, “sono gravissimi: paralisi cerebrale infantile, ritardi neuro-cognitivi, distonia, sindrome atetosica; il bambino inoltre è ipovedente e affetto da grave ipoacusia“.


“E’ evidente che la cifra che la famiglia dovrà ricevere come risarcimento non servirà a ridare una vita normale al minore ma almeno con questo denaro gli si potrà garantire un’esistenza dignitosa. Le menomazioni psicofisiche del ragazzo hanno reso difficilissime le condizioni di convivenza e di sussistenza economica dell’intero nucleo familiare che ha dovuto indebitarsi con parenti e amici al fine di garantire al figlio (ultimo di tre) il minimo per sopravvivere. Da qui la volontà dei genitori di invocare carità ed aiuto a Papa Francesco”, afferma ancora Simioni.

Da evidenziare che la sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale Civile di Roma, che ha appurato la responsabilità del nosocomio, è stata appellata da quest’ultimo al fine di ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza; in questo senso la Corte d’Appello di Roma ha già respinto la richiesta: “Ciò significa che la sentenza di primo grado del Tribunale costituisce titolo esecutivo perciò la famiglia preannuncia l’imminente avvio dell’esecuzione forzata. E’ imbarazzante che un ente religioso si ponga in questa posizione: siamo fiduciosi che il caso di questo ragazzino possa essere risolto il prima possibile senza ricorrere al pignoramento di beni dell’ospedale”, conclude Simioni.

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