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La sfida solitaria di Macron in cammino verso l’Eliseo. Un ritratto

di Marco Micheli per www.ytali.com Bobigny, banlieue a nord-est di Parigi, gennaio 2016. Emmanuel Macron è ancora ministro dell’economia. Durante una visita presso un centro di formazione, si lascia sfuggire alcune parole: per tutelare i giovani delle banlieue si devono abbattere le barriere che iper-proteggono alcuni settori.

Pubblicato:04-04-2017 14:24
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:05

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di Marco Micheli per www.ytali.com

Bobigny, banlieue a nord-est di Parigi, gennaio 2016. Emmanuel Macron è ancora ministro dell’economia. Durante una visita presso un centro di formazione, si lascia sfuggire alcune parole: per tutelare i giovani delle banlieue si devono abbattere le barriere che iper-proteggono alcuni settori. Secondo il ministro, queste barriere sono i principali sostegni al dualismo del mercato del lavoro francese: senza di esse, per molti dei giovani di Bobigny sarebbe più facile trovare un cliente, piuttosto che continuare a cercare un datore di lavoro.

Apriti cielo! Come al solito il dibattito che segue vira sulla tutela della purezza ideologica della sinistra. Macron parlava di Uber: questa applicazione ha rappresentato per molti giovani disoccupati l’ingresso nel mercato del lavoro. Alcune ricerche stimano che la maggioranza delle immatricolazioni per fornire servizi Uber riguardi la banlieue sud e nord di Parigi. Là dove le condizioni economiche sono più difficili. Infatti, a differenza del caso americano, circa l’ottanta per cento dei lavoratori Uber non ha un secondo lavoro.


L’insistenza di Macron sul tema sarà continua: la creazione di una società permette ai giovani di avere delle opportunità che gli aiuti di stato o del comune non sono in grado di fornire. Il messaggio colpisce. Soprattutto in un paese come la Francia.

Per capire chi è Macron quest’episodio è sufficiente. Un pragmatico che rappresenta oggi il più europeista dei candidati e il portavoce della “sinistra de-complessata”, come alcuni l’hanno descritto.

Il messaggio sembra funzionare. Oggi il trentanovenne ex ministro dell’Economia sembra essere il principale avversario di Marine Le Pen. Fino a sei mesi fa uno scenario di questo tipo sembrava inimmaginabile. Tuttavia, il ritiro di Hollande, dopo un disastroso quinquennato, la vittoria della sinistra “frondista” alle primarie socialiste, la concorrenza a sinistra di Melenchon e i problemi giudiziari di Fillon, il candidato della destra, hanno creato le condizioni ideali perché la candidatura di Macron prendesse il volo. Non c’è giorno che i quotidiani francesi non riportino i dati dei sondaggi del primo turno delle presidenziali: Macron e Le Pen vi si alternano alla testa.

E più la campagna elettorale avanza, più lo scontro tra Macron e Le Pen si polarizza, entrambi alla ricerca dei consensi degli elettori della destra per il secondo turno.

Se Marine Le Pen rappresenta la Francia nazionalista e autoritaria, Macron ne incarna il liberalismo e l’internazionalismo. Mentre Le Pen parla di declino ed alimenta la paura dei cittadini francesi contro gli immigrati, Macron parla di una Francia “aperta e generosa”, “più umana ed ottimista”.

Un percorso davvero particolare, quello di Emmanuel Macron. Quando diventa ministro, inizialmente l’interesse che suscita è legato alla sua vita privata, scrupolosamente analizzata. L’attenzione della stampa, morbosa talvolta, è dovuta alla relazione con quella che diventerà poi sua moglie. La sua ex professoressa di francese. Lui le dichiara il suo amore a 17 anni: lei allora ne ha 41, è sposata e madre di tre figli. Macron la sposerà nel 2007 e l’interesse per la coppia non è mai venuto meno. Come molta classe dirigente francese studia alla prestigiosa École nationale d’administration (ENA) e diventerà ispettore delle finanze (cioè funzionario del ministero dell’Economia). Nel 2008 passa quindi al settore privato: viene assunto dalla banca d’affari Rotschild ed è l’artefice del contratto tra la Nestlé e il comparto alimentare della Pfizer.

La notevole fortuna accumulata grazie anche a quell’accordo e la rete di relazioni costruite nel tempo lo porteranno nel 2012 a diventare consigliere economico di Hollande e poi vice segretario generale dell’Eliseo, un ruolo chiave nello staff del presidente. Stimato da molti e vicino tanto agli industriali quanto ai sindacati, diventa ministro grazie ad uno scontro tutto interno alla sinistra. Nel 2014 infatti il predecessore di Macron al ministero ed esponente della sinistra interna al PS, Arnaud Montebourg, si esprime contro le scelte economiche e finanziarie del governo guidato da Manuel Valls. Valls ritiene che una linea rossa sia stata passata e si dimette. Hollande gli conferirà nuovamente l’incarico chiedendogli di creare un governo più coerente con gli orientamenti definiti dallo stesso presidente nella svolta social-liberale di qualche mese prima.

I frondisti, tra i quali l’attuale candidato del PS Benoît Hamon, sono esclusi dal governo. Macron viene lanciato sulla scena politica francese ed europea e da subito comincia a mettersi in luce.

Beniamino degli imprenditori delle start-up, da ministro sarà l’autore della Loi Macron ovvero della “Legge per la crescita, l’attività e l’uguaglianza delle opportunità economiche”. L’obiettivo della legge è sbloccare l’economia francese e sfidare i tre mali del Paese: la diffidenza, la complessità e il corporativismo. Per realizzare questi obiettivi propone una serie di misure: le aperture domenicali dei negozi, le modifiche dei regolamenti per il lavoro notturno, la diminuzione delle tariffe professionali, la soppressione del monopolio del servizio ferroviario, patenti di guida più veloci da ottenere, tetto alle indennità per i licenziamenti, vendita delle partecipazioni pubbliche in imprese private.

Uno shock per la Francia. E infatti l’adozione della legge (edulcorata) avverrà attraverso l’utilizzo dell’articolo 49-3 della Costituzione, in base al quale il governo può far passare un provvedimento senza voto e i deputati, possono soltanto sottoporre a votazione una mozione di censura. Se l’utilizzo dell’art. 49-3 segna una rottura insanabile a sinistra (verrà poi utilizzato per far approvare la Loi El Khomri, il jobs act francese, di cui in realtà è Macron l’ispiratore) e dalla vicenda Valls ne uscirà indebolito, Macron sembra non esserne toccato. Anzi. Risulterà tra le sei personalità più apprezzate dai francesi. E dai giovani soprattutto.

“En Marche!”

Nell’aprile 2016 lancia il suo movimento En Marche! e rende nota la sua ambizione alla presidenza. Hollande non ha ancora sciolto la riserva sulla sua ri-candidatura e nel breve tempo il rapporto diventa più freddo. Anche con Valls. Decide pertanto in agosto di dimettersi e di dedicarsi al suo movimento. Rifiuta di partecipare alle primarie socialiste e nel tempo vede le sue fila ingrossarsi. Lo indicano come una bolla mediatica ma dopo la vittoria di Hamon, l’uscita di scena di Valls e i problemi di Fillon i suoi consensi cominciano a salire.

“Né di destra, né di sinistra” ma “nemmeno centrista” è la formula con la quale Macron ama descriversi. Non disconosce le proprie radici, che affondano nella sinistra, ma rivendica anche il fatto di essere un liberale. Ed è proprio questo ciò che lo rende oggi il più competitivo dei candidati nella sfida con Marine Le Pen.

Perché Macron riesce a sedurre classi dirigenti ed elettori sia a destra sia a sinistra. Le dichiarazioni di voto a suo favore non mancano. Molti sostenitori di Chirac e di Alain Juppé (ex candidato alle primarie della destra sconfitto da Fillon) si sono espressi in suo favore. Tra questi l’ex primo ministro Dominique de Villepin. Al centro ha ottenuto l’appoggio di François Bayrou e del suo partito.

Ma è a sinistra il vero big bang, con l’adesione più o meno esplicita alla sua candidatura da parte di personaggi come Daniel Cohn Bendit (leader dei Verdi e del Maggio ’68), Robert Hue (ex leader del PCF), Nicolas Hulot (giornalista e ambientalista), Bernard Kouchner (ex-ministro degli esteri, tra i fondatori Medici senza Frontiere). Amato e odiato nel PS, gli hanno spesso rimproverato di non tenere conto del calendario elettorale durante la sua azione di governo. Tuttavia ha al suo fianco i pezzi da novanta dell’ala riformista del PS: l’ex sindaco di Parigi Delanoe, il sindaco di Lione Gérard Collomb, il potente ministro della difesa Jean-Yves Le Drian. E da ultimo l’ex primo ministro Manuel Valls, che rifiuta di appoggiare il vincitore delle primarie socialiste Hamon. Altri ancora in dubbio ma propensi a sostenerlo, tra questi Jean-Marc Ayrault (nda, ex primo ministro e oggi ministro degli esteri) e Ségolène Royal.

Il successo tra elettori di diverso orientamento tuttavia è ciò che colpisce. Se Macron rappresenta una scelta alternativa a Hamon per molti elettori moderati del PS, riesce anche a penetrare nell’elettorato di destra. Secondo le stime del Cevipof, un terzo degli elettori potenziali di Macron ha votato per Sarkozy e Bayrou nel 2012. Piace certamente perché il suo programma politico dosa con attenzione e arguzia proposte moderate che possono piacere sia alla destra che alla sinistra.

Piace però perché in fondo il suo messaggio politico è quello del cambiamento. Non diversamente da Le Pen. Un cambiamento tuttavia più umano e più ottimista. Macron appare in grado di riformare ma “dolcemente”. E soprattutto non ha problemi di rivendicare le sue idee e di guidare quella parte della società francese che un po’ spaesata si ritrova nel suo messaggio. Lo fa quando rimette in discussione l’approccio tradizionale della Francia all’economia e alle imprese.

Lo fa quando elogia Angeal Merkel per la sua politica a favore dei rifugiati, “che è stata all’altezza dei nostri valori comuni e ha salvato la nostra dignità collettiva”. Lo fa quando parla dell’euro come un marco debole, da salvare attribuendo maggiore sovranità all’Unione Europea. E non agli stati membri. Certo non sarà facile. Deve intanto vincere le elezioni presidenziali. E poi quelle legislative. Perché un ulteriore tratto in comune con Marine Le Pen è anche quello di non avere allo stato attuale i mezzi sufficienti per esprimere una maggioranza parlamentare in grado di realizzarne i progetti.

Macron non ha un partito dietro di sé e chi lo sostiene non sembra avere la sufficiente omogeneità ideologica per consentire di trasformare il movimento in un vero partito politico. Gli verrà chiesto pertanto a quali alleanze pensa. E potrebbe aver bisogno dei vecchi compagni del PS. Metterebbe però a rischio il sostegno da parte degli elettori di centro e di destra. Sarà interessante capire come gestirà la situazione in caso di vittoria alle presidenziali.

La vera rivoluzione per ora Macron l’ha generata a sinistra, dove la sua candidatura sta creando un capovolgimento di portata storica. Sulla scia del richiamo al voto utile contro Marine Le Pen e dello spostamento dell’asse del PS a sinistra, molti elettori tradizionali (e più moderati) del PS si stanno spostando su Macron. Il PS fu un colpo di genio di Mitterrand, che riuscì ad imporre la supremazia del PS (e di se stesso) a sinistra. Il candidato del PS, Benoît Hamon, stretto tra l’altermondialista Melenchon e Emmanuel Macron potrebbe essere pertanto il liquidatore di fatto dei socialisti francesi: si chiuderebbe il ciclo apertosi con Epinay nel 1971 e assisteremmo probabilmente a una ricomposizione della sinistra.

Ricomposizione da tempo auspicata tuttavia. Era il 1993 quando Michel Rocard teneva a Montlouis-sur-Loire uno dei suoi più bei discorsi. In quello che i giornalisti definirono come il “discorso del Big Bang” del PS, Rocard rivendicava l’esistenza di una seconda sinistra all’interno del PS: né giacobina, né centralista, né nazionalista, né protezionista.
Una sinistra liberale che Rocard immaginava non solo alleata del centro: in realtà proponeva la creazione di un Partito Democratico francese, senza alcun legame col marxismo. All’epoca Rocard fallì nel suo tentativo, per quanto la sfida lanciata a Mitterrand innalzò l’eterno “candidato virtuale” alla presidenza della repubblica a suo principale avversario interno.

Oggi sembra che il progetto di Rocard non sia poi così irrealizzabile.

 

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