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Cosa è il diabete di tipo 1 che ha colpito il figlio di Ambrosini

Intervista al presidente della Fondazione Italiana Diabete, Nicola Zeni, dopo l'annuncio dell'ex centrocampista di Milan e Fiorentina sulla malattia del piccolo Alessandro

Pubblicato:04-03-2023 14:46
Ultimo aggiornamento:05-03-2023 15:19

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ROMA – “Io voglio che mio figlio Alessandro guarisca dal diabete di tipo 1. Per sconfiggerlo, l’unica speranza passa solo ed esclusivamente attraverso la ricerca. Correrò per questo la staffetta della maratona di Milano il 2 aprile con 3 miei ex compagni di squadra insieme alla Fondazione italiana diabete. Sostieni la nostra staffetta, che si chiama ‘Born to run’, attraverso la rete del dono. Grazie di cuore a tutti. Massimo”. Lui è Massimo Ambrosini, l’ex centrocampista di Milan e Fiorentina che ieri ha aperto il proprio cuore e ha raccontato la malattia da cui è affetto suo figlio. Lo ha fatto in un video emozionante pubblicato su Instagram.

COSA È IL DIABETE DI TIPO 1

“Il diabete di tipo 1- spiega all’agenzia Dire il presidente della Fondazione Italiana Diabete (Fid), Nicola Zeni – è una malattia autoimmune che, purtroppo, condivide il nome con il diabete di tipo 2, con cui ha qualche similarità, come ad esempio la glicemia elevata“. Le due malattie hanno, però, un’origine, un trattamento e conseguenze molto distanti. “Il diabete di tipo 2 – continua Zeni – è molto comune ed è molto più diffuso del diabete di tipo 1: in Italia i malati di diabete di tipo 1 sono circa 250mila, mentre del diabete di tipo 2 ce ne sono oltre 3 milioni, più quasi altrettanti che non sanno di averlo”.


LE DIFFERENZE TRA DIABETE DI TIPO 1 E DI TIPO 2

Numeri estremamente lontani e malattie molto diverse. “Come la sclerosi multipla o il lupus, anche il diabete di tipo 1 appartiene alla categoria delle malattie autoimmuni. Non ha nulla a che vedere con questioni alimentari, di sedentarietà o di stili di vita – precisa Zeni – cosa che è invece associata all’insorgenza del diabete di tipo 2. Il diabete di tipo 1 – sottolinea il presidente della Fid – è una malattia che colpisce in larga prevalenza soggetti giovani, ormai di età compresa tra 0 e 20 anni, e un altro 50% colpisce la popolazione adulta. Questo grande impatto sui bambini ne fa una malattia molto coinvolgente su tutta la famiglia, che viene interessata dalla terapia”.

IL TRATTAMENTO DEL DIABETE DI TIPO 1

L’altro grave problema del diabete di tipo 1 è che non è una malattia demandata ai medici, come le patologie che richiedono trattamenti più complessi, anche invasivi, tra cui, ad esempio, quelli per i tumori, trattamenti per i quali è necessario recarsi in ospedale, dove i medici gestiscono la terapia. “Dopo un iniziale training da parte dei medici che assistono il paziente al momento dell’esordio – informa Zeni – poi la terapia del diabete viene trasferita in capo al paziente che, se è un bambino, viene gestita dai genitori o dai caregiver. Per cui è chiaro che la responsabilità, il peso e la gestione di questa malattia e della sua terapia impattano moltissimo sulle famiglie. E questo emerge davvero tanto dalle parole di Massimo Ambrosini”.

LE ORIGINI DEL DIABETE DI TIPO 1

Impossibile stabilire perché il diabete di tipo 1 faccia la propria comparsa. “Purtroppo – afferma il presidente Fid – sono decine di anni che i ricercatori tentano di scoprire l’origine non solo del diabete di tipo 1 ma anche di tutte le malattie autoimmuni, ma la soluzione non è ancora stata trovata. Nella sua attività rivolta alla ricerca scientifica, la nostra Fondazione finanzia progetti che vanno a ricercare le origini, le cause della patologia. Al momento sappiamo che si tratta di una malattia genetica, che necessita dunque di una predisposizione genetica. Poi, però, esiste un ‘trigger’, un evento che fa scatenare l’insorgenza della patologia”.

PERCHÉ IL DIABETE DI TIPO 1 È INGUARIBILE

Nella sua coraggiosa e sentita testimonianza, Ambrosini parla di “malattia inguaribile”. “È così – conferma il presidente di Fondazione Italiana Diabete – a oggi non c’è guarigione. Oggi, tra l’altro, sappiamo che una persona che riesce a trattare bene il proprio diabete di tipo 1, perde in media 13 anni di vita“. Zeni fornisce poi un numero ancora più impressionante: “Sono 32 gli anni che scientificamente un soggetto diabetico perde: alla vita accorciata da questa malattia si devono aggiungere gli anni persi nella gestione della patologia”.

IL RUOLO DELL’INSULINA NEL DIABETE DI TIPO 1

È una malattia che richiede costante applicazione. Normalmente un soggetto deve testare la glicemia molte volte al giorno, verificare che non sia troppo alta e, in tal caso, iniettarsi l’insulina – racconta Zeni -. Deve poi verificare che non sia troppo bassa, e in questo caso dovrà invece assumere zuccheri per ricompensare. Deve poi cercare di tenere il più possibile la sua glicemia in un range che, normalmente, rimane entro determinati valori. Trentadue anni sono un po’ troppo perché la possiamo considerare una malattia con cui si possa convivere serenamente. Ecco perché è necessario investire quanto più possibile nella ricerca e che si trovi una cura. Cura significa non doversene più preoccupare. Grazie a Dio esiste l’insulina – dice Zeni – ma l’insulina non è una cura. Consente ai diabetici di vivere, un po’ meno ma possono vivere. Al momento il diabete non è una malattia per la quale esista una cura, esiste un trattamento”.

Secondo Nicola Zeni non si parla a sufficienza della malattia che ha colpito anche il figlio di Massimo Ambrosini. “Si conosce molto il diabete, che poi è il diabete di tipo 2, molto poco il diabete di tipo 1. L’attività della nostra Fondazione verte anche molto proprio sul far conoscere alla popolazione non direttamente colpita da questa patologia che esiste anche un diabete di tipo 1”.

I BAMBINI E IL DIABETE DI TIPO 1

Una patologia dunque molto diversa dal diabete di tipo 2 e con un impatto estremamente severo anche sulla quotidianità dei bambini. “Perché i bambini che vanno a scuola hanno bisogno di un occhio di riguardo – rende noto Zeni -. Si tratta di bambini che magari già a tre anni si devono fare la glicemia da soli: imparano ma chiaramente hanno una quotidianità, una serie di gesti e necessità diverse da quelle dei bambini non malati. Pertanto è assolutamente necessario che ci sia maggiore conoscenza, maggiore consapevolezza sul diabete di tipo 1″.

LA FONDAZIONE ITALIANA DIABETE: “GRATI AD AMBROSINI”

Ecco perché il gesto di Massimo Ambrosini assume un valore così importante. “Siamo enormemente grati a Massimo, il suo apporto non è solo utile al fine di raccogliere fondi per la ricerca, che è comunque una parte molto nobile e utile, ma ha anche il grandissimo pregio di portare all’attenzione dei media e della popolazione una patologia non sufficientemente conosciuta. Massimo è il mio eroe, lo era già prima e lo sarà per lungo tempo“.

LA MARATONA ‘BORN TO RUN’

Un eroe che il prossimo 2 aprile parteciperà alla staffetta della maratona di Milano, insieme a tre ex compagni rossoneri: “Si corre per una causa, con gruppi di quattro persone che si fanno carico di una staffetta e di una raccolta fondi presso amici, parenti e conoscenti per raggiungere l’obiettivo finale, quello di raccogliere fondi per la ricerca mediante un’attività piacevole e divertente e che ha anche concreti risvolti positivi come lo sport. Come Fondazione Italiana Diabete – rende noto il presidente Fid – stiamo creando una serie di team sportivi in diverse discipline, dove appassionati e sostenitori si organizzano per partecipare a gare ed eventi proprio per raggiungere un duplice scopo: raccogliere fondi e parlare della patologia con persone che ancora non la conoscono”.

I PERICOLI DEL DIABETE DI TIPO 1

Accendere i riflettori sulla malattia e sui suoi sintomi può inoltre evitare problematiche gravi. “Purtroppo, nella nostra malattia vi sono tanti episodi negativi, anche decessi, causati principalmente da due motivazioni: una è legata all’ipoglicemia. Se questa avviene durante il periodo notturno è pericolosa, perché la persona non se ne accorge e una ipoglicemia prolungata può portare a situazioni di coma o anche al decesso. L’altro momento – conclude Zeni – è l’esordio non riconosciuto: pur essendo una malattia nota da decenni, a volte si fa fatica a riconoscerla. Ad esempio, in un bambino viene scambiata per qualche forma di influenza o di allergie. Perdere quegli attimi determinanti per individuare la malattia e trattarla immediatamente in quel contesto dell’esordio può davvero essere molto pericoloso”.

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