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I tormenti del Pd, una donna può sbloccare lo stallo

Nel partito c'è crisi, ecco i tre tavoli su cui si gioca il futuro

Pubblicato:04-03-2021 10:21
Ultimo aggiornamento:04-03-2021 10:22

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ROMA – Uno schema su tre tavoli per risolvere la crisi del Pd, ma anche per dare un orizzonte concreto alla coalizione progressista in vista delle elezioni politiche. È quello su cui si ragiona nelle riunioni di area del Pd, come l’agenzia Dire ha verificato con più fonti. 

L’ormai certo rinvio a ottobre delle elezioni amministrative dà più tempo ai contendenti per dipanare una soluzione che sembra una piramide multi-livello. Il passaggio più ravvicinato è fissato per il 13 e 14 marzo all’assemblea nazionale dei democratici. 

La partita, come detto, si gioca su tre tavoli. Il primo è quello del partito. Il segretario Nicola Zingaretti è incalzato da Base riformista che chiede il congresso. Le donne del partito (si badi bene: non le donne in quanto ‘conferenza delle donne’, le donne in quanto genere) chiedono finalmente un cambio di passo nella rappresentanza. La discussione si è incagliata su un nodo che appare secondario, e che invece potrebbe essere decisivo: la funzione di vicario. 

Le donne chiedono o che Andrea Orlando, il ministro che è anche attuale vicesegretario vicario, lasci e che venga eletta al suo posto una vicesegretaria. Oppure che nel caso in cui ci sia un vicesegretario uomo se ne elegga un’altra, donna. In un caso o nell’altro a quest’ultima andrebbe conferita la carica di vicario, cioè la rappresentanza del partito nel caso in cui il segretario dovesse dimettersi. 

E perché mai Zingaretti dovrebbe dimettersi? Veniamo al secondo e terzo tavolo della partita, la Regione Lazio e il Campidoglio. Alla Pisana il segretario, nelle vesti di presidente della Regione, ha realizzato un patto di ferro con l’ingresso in giunta dei M5s di Roberta Lombardi. Si tratta, com’è noto, di un’area dei M5s non esattamente in linea con quella che governa il Campidoglio con Virginia Raggi (i rapporti sono anzi molto burrascosi, ma non si può dire). Nonostante dal Nazareno si affrettino a ripetere che lo schema della regione non è automaticamente replicabile nelle amministrative, è chiaro che da via Cristoforo Colombo l’intesa esercita una forte influenza sull’amministrazione capitolina. Fuor di metafora: di certo agevola un accordo Pd-M5s anche per il Comune.  Il che si dovrebbe tradurre, secondo le ipotesi che si fanno in queste ore, in un passo indietro di Virginia Raggi: decisione difficile, ma non impossibile se affidata alla moral suasion di Beppe Grillo, suo sponsor più influente. Ma se anche Raggi decidesse di correre, l’accordo potrebbe passare in un confronto Pd-M5s alle primarie di coalizione o al primo turno delle elezioni stesse. Perché questo sia possibile, il candidato in grado di battere la sindaca uscente e capitalizzarne i voti nelle urne dovrebbe essere di quelli forti: e ovviamente nessuno più di Nicola Zingaretti potrebbe aspirare, soprattutto all’indomani di un’intesa raggiunta alla Pisana con i M5s di rito lombardiano.  Ma al Nazareno cosa succederebbe? Zingaretti dovrebbe dimettersi e lasciare il passo al vicesegretario vicario. O meglio: alla vicesegretaria vicaria. Il nome che nelle ultime ore acquista sempre maggiore forza è quello di Debora Serracchiani. Non un esponente di Base riformista, dunque, ma dell’area che fa riferimento a Graziano Delrio. La sua terzietà è vista come una garanzia in più in vista del congresso che vedrà confrontarsi in primo luogo zingarettiani e Base riformista. Non mancano altre ipotesi, come Giuditta Pini, esponente dei Giovani turchi, l’area che fa riferimento a Matteo Orfini, tra le più determinate nella battaglia per la parità di genere. 

Di questo schema su tre tavoli – apprende l’agenzia Dire – si ragiona con sempre maggiore frequenza nelle riunioni di area e tra i maggiorenti del partito. Ovviamente nessuno conferma. E l’ufficialità è di là da venire. Il cammino è solo agli inizi. Ma lo sbocco non è dietro l’angolo, visto che il voto nelle città (Roma, Napoli, Torino, Milano, Bologna) sarà probabilmente il 10 e 11 ottobre. All’assemblea dem del 13 e 14 marzo si capirà se l’accordo interno tra la maggioranza zingarettiana, Base Riformista e le donne del Pd metterà la prima pietra.


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