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FOTO | In Romania l’inferno di chi vive ancora nelle fogne. Un documentario lo racconta

Quelli che una volta venivano chiamati i 'bambini di Bucarest' sono cresciuti. Eppure molti di loro vivono ancora nelle fogne, proprio come negli anni Novanta. Se i canali principali di questa città sotterranea della povertà son ostati chiusi, altri sono rimasti aperti. Il fotoreporter Giuseppe Barile è andato a vederli con i suoi occhi

Pubblicato:04-03-2019 16:50
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:11
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BOLOGNA – “Siamo scesi sotto terra e abbiamo trovato l’inferno, un inferno che si trova a pochi passi dal centro della città”. Inizia così il racconto di Giuseppe Barile, fotografo e reporter che vive a Bologna, appena tornato da Bucarest, capitale della Romania, dove è andato a vedere come vivono oggi quelli che, poco più di 20 anni fa, erano chiamati i ‘bambini di Bucarest’, la comunità di senza dimora che abitava le fogne della città.

L’obiettivo del suo ultimo documentario, che uscirà in autunno, è quello di far luce su una situazione risolta soltanto in apparenza e che anzi, oggi “forse è ancora peggio di com’era negli anni in cui tutti ne parlavano perché i famosi ‘bambini delle fogne’ sono cresciuti, adesso hanno la mia età. Tra loro c’è chi non ce l’ha fatta, mentre molti di quelli che sono ancora vivi sono ridotti come uno zombie che sta aspettando solo di morire”, spiega Barile.

Una breve anteprima del documentario



Per capire perché in Europa ci siano ancora persone che vivono dentro una fogna però, bisogna fare un passo indietro e arrivare al 1966, quando sotto la dittatura di Ceausescu vennero approvate riforme come l’abolizione del preservativo e dell’aborto, per incrementare la crescita demografica. Una decisione che, dopo alcuni anni, causò un’ondata di nascite indesiderate. Le conseguenze? Migliaia di bambini abbandonati per le strade. Nel 1994, Save The Children stimava circa 5.000 bambini senza fissa dimora che, per proteggersi dal freddo e per nascondersi, trovarono rifugio sotto terra, abitando i canali delle fogne.

 


Una storia diventata famosa, soprattutto grazie al ‘miracolo’ di Bruce Lee, nome d’arte di Florian che, anch’esso vittima di quel destino, trovò il modo di farsi spazio in una Bucarest che viveva di spaccio di stupefacenti e sfruttamento minorile. Per molti di loro era un salvatore, e tanti reportage di quegli anni raccontano la vita sotto terra come una sorta di mondo maledetto, ma tutto sommato ordinato nella sua follia, con i quadri alle pareti, la musica e l’Aurolac (solvente che se sniffato provoca allucinazioni, ndr) sempre a disposizione. Nel 2015 poi, “una volta arrestato Bruce Lee, il Governo romeno ha deciso di chiudere ufficialmente i canali, anche per dimostrare a tutti che quel problema era stato risolto”, spiega Barile che invece, ha visto con i propri occhi come vivono ancora oggi i circa 1.400 senza tetto, ex ‘bambini delle fogne’, scendendo in due dei canali ancora attivi , “tra puzza, immondizia, escrementi e un’umidità incredibile“, nei quartieri di Baba Novac e Tineretului, che si trovano a 15 minuti a piedi dal centro.

“Al Governo è bastato chiudere i canali principali, come quello più famoso vicino alla Gara De Nord, ma sarebbe impossibile bloccarli tutti, infatti noi, guidati da Alin, un ragazzo che vive nei sotterranei e che ci ha fatto da guida a ‘casa sua’, abbiamo visto in che condizioni vivono queste persone, che sono ‘gli ultimi degli ultimi’“. In pratica, mentre le politiche sociali attuate si dimostrano inefficienti e i cittadini di Bucarest dicono che “è un problema risolto, che non esiste più”, ci sono centinaia di persone che vivono nell’ombra, sotto terra o, per quelli a cui va meglio, trovando alloggio in alcune case abbandonate.

 



Il problema più grande però è la tossicodipendenza. “Tutte le organizzazioni che operano in città mi hanno detto che paradossalmente la situazione negli anni ’90 era più semplice, perchè c’era solo l’Aurolac, che non crea dipendenza. Poi è arrivata l’eroina, e con lei si è diffuso l’Hiv”, spiega Barile, arrivando ad oggi che “c’è l’etnobotanice, un mix di sostanze chimiche che singolarmente sono legali ma insieme creano una sostanza che nel giro di tre mesi ti ammazza“.

E’ per questo che Carousel, Save The Children e Parada, le tre principali associazioni cercano di aiutare queste persone in città, hanno perso le speranze. “Da quando è arrivata questa droga è finito tutto, perché è un fenomeno che non si può contrastare, qualsiasi percorso di reinserimento non serve a niente”, ha raccontato Iuliana, una delle responsabili di Parada. “Una soluzione poteva essere l’istruzione, ma nemmeno quella è servita, perchè sei fai andare a scuola un adolescente che è cresciuto in quelle condizioni, dopo qualche anno poi non ci va più“, aggiunge Iuliana, che dopo aver lavorato 30 anni nel sociale non crede ci sia via d’uscita per queste persone. “Questo progetto nasce prima di tutto da una mia esigenza personale, dal bisogno di poter aiutare in qualche modo queste persone e di fermare questo fenomeno di totale emarginazione sociale”, conclude Barile.

di Sara Forni

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