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Pena dimezzata per femminicidio, Corte appello spiega: “Gelosia non c’entra”. Il caso andrà in Cassazione

La pena è stata ridotta da 30 a 16 anni in secondo grado, ma la Procura generale di Bologna farà appello. Intanto il presidente della Corte d'appello spiega: "La gelosia è aggravante, il motivo della riduzione è la concessione delle attenuanti"

Pubblicato:04-03-2019 16:12
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:11
Autore:

giustizia tribunale
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BOLOGNA – La Procura generale di Bologna ricorrerà in Cassazione contro la sentenza della Corte d’appello che ha dimezzato la pena, da 30 a 16 anni, a Michele Castaldo, l’operaio cesenate che nel 2016 strangolò, a Riccione, Olga Matei, la donna con cui aveva una relazione da circa un mese. L’uomo aveva confessato l’omicidio ed è stato processato con rito abbreviato, che prevede uno sconto di un terzo della pena. E sulle motivazioni della sentenza d’appello, che hanno suscitato molte polemiche in quanto a Castaldo sono state riconosciute le attenuanti generiche anche perché avrebbe agito in preda ad una “tempesta emotiva e passionale”, torna il presidente della Corte d’appello bolognese Giuseppe Colonna, che in una nota offre una spiegazione ‘tecnica’ dei motivi che hanno portato alla riduzione di pena.

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“La gelosia è aggravante”

In primis, Colonna tiene a precisare che non è vero che la gelosia sia stata considerata un’attenuante: anzi, spiega, “è stata considerata motivo di aggravamento, in quanto integra l’aggravante dell’avere agito per motivi abietti o futili“, e questo è stato spiegato in maniera “ampia e convinta in due pagine fitte di motivazione”.


Dunque, prosegue, l’imputato “è stato giudicato colpevole di omicidio aggravato dai futili o abietti motivi, delitto sanzionato con l’ergastolo e, in caso di rito abbreviato, con la pena ‘fissa’ di 30 anni”, ma è stato ritenuto “meritevole delle attenuanti generiche”.

E proprio sulla questione delle attenuanti generiche si sofferma il presidente della Corte d’appello, “partendo dalle ragioni che avevano condotto alla loro esclusione in primo grado”, vale a dire “irrilevanza della confessione (le tracce lasciate erano tali da ricondurre comunque la Polizia giudiziaria all’uomo quale autore del fatto; il tentato suicidio, ritenuto non espressione di disperazione, ma mero gesto teatrale, e il fatto che i problemi emotivi dell’imputato-evidenziati dagli esperti psichiatri- non erano eccezionali”, perché Castaldo “aveva capacità di autocontrollo e la perdita di controllo, in questo caso, era da ricondurre all’abuso di alcool”).

La Corte d’assise d’appello, spiega Colonna, ha invece concesso le attenuanti generiche rilevando, in primis, che “l’immediata e spontanea confessione era irrilevante sul punto della responsabilità- e qui si condivide il giudizio di primo grado- ma determinante sul punto dell’aggravante dell’avere agito per gelosia e dunque per motivi abietti o futili”. Solo la confessione, infatti, “aveva apportato i dati conoscitivi che hanno consentito di fondare l’affermazione di sussistenza dell’aggravante, che determina l’elevazione della pena dalla normale ‘forbice’ 21-24 anni di reclusione a quella fissa dell’ergastolo che, in caso di abbreviato, si ridetermina in 30 anni”.

Inoltre, tira dritto il presidente della Corte, “la misura della responsabilità, sotto il profilo del dolo, era comunque condizionata dalle infelici esperienze pregresse di vita affettiva dell’imputato, che in passato avevano comportato anche la necessità di cure psichiatriche e che avevano amplificato il suo timore di abbandono (questo è il dato rilevante al di là della frase, comunque tratta testualmente dal perito,’soverchiante tempesta emotiva e passionale'”). 

Infine, precisa Colonna, Castaldo è stato ritenuto dai giudici d’appello meritevole delle attenuanti generiche “anche perché, seppure in forma incompleta, e quindi inidonea a determinare l’attenuante del risarcimento del danno, aveva tentato di iniziare a risarcire la figlia della vittima, facendo così intravedere la presa di coscienza dell’enormità della azione compiuta”. Si tratta dunque, tira le somme il magistrato, di “tre motivi convergenti, di cui il primo e il terzo oggettivi ed ineccepibili e il secondo comunque congruo, in quanto inerente l’aspetto della vita pregressa e della responsabilità sotto il profilo del dolo d’impeto”.

Quindi, ricorda infine il presidente della Corte d’appello di Bologna, “In caso di attenuante giudicata equivalente all’aggravante contestata, nel caso di specie la pena è automaticamente quella di 16 anni“, visto che “la pena base di 24 anni per questo reato, che è il massimo previsto, viene ridotta di un terzo dal momento che il processo si è svolto con rito abbreviato”.

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