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Ue, ecco la road map per salvare Schengen

ROMA  - Un piano terapeutico per tentare di rianimare il

Pubblicato:04-03-2016 15:50
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:06

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ueROMA  – Un piano terapeutico per tentare di rianimare il malato Schengen, che è grave sì, ma non ancora spacciato. A pochi giorni dal cruciale vertice europeo del prossimo lunedì, la Commissione europea prova a convincere tutti che l’area di libera circolazione può ancora essere salvata. Lo fa stilando una tabella di marcia, fatta di date e azioni precise, e chiedendo a tutti un lavoro ordinato e coordinato. L’obiettivo è vedere sparire i controlli alle frontiere reintrodotti già in otto diversi Stati membri “il più rapidamente possibile” ma comunque entro la fine del 2016.

“C’è una mancanza di fiducia reciproca tra alcuni Stati membri”, ammette il commissario Ue all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, che sprona tutti a “mostrare più comprensione per la situazione perché le decisioni e le prese di posizione unilaterali non aiutano nessuno”. Questo è “il momento di mostrare che siamo solidali e coerenti e che vogliamo preservare i nostri valori”, insiste il commissario, dicendosi fiducioso che “alla fine a prevalere sarà l’interesse comune di tutti gli Stati membri”.

Il primo passo concreto, secondo la Commissione, è assicurare la protezione delle frontiere esterne. Come? Dando rapidamente vita alla guardia costiera e frontiera europea proposta in dicembre. Secondo la road map dell’esecutivo comunitario deve essere approvata da Parlamento e Consiglio europeo al massimo entro giugno così da essere operativa per l’estate, quando il bel tempo potrebbe portare un flusso di sbarchi ancora più consistente. Gli Stati membri e Frontex devono però iniziare fin da subito la preparazione, identificando personale e risorse tecniche necessarie. Entro il 22 marzo l’agenzia europea lancerà un appello agli Stati membri chiedendo i contributi necessari e le capitali dovrebbero rispondere entro dieci giorni, cioè il primo di aprile.


Poi c’è lo spinoso capitolo Grecia, paese di frontiera che va aiutato perché, ricorda la Commissione, “i confini esterni della Grecia sono anche i confini esterni di ogni Stato dell’area Schengen”. Tra pochi giorni, il 12 marzo, Atene dovrà presentare un piano per risolvere le “gravi carenze” identificate nella gestione dei suoi confini esterni. A metà aprile, la Commissione farà una prima valutazione per vedere se le cose sono migliorate e il 12 maggio, da Bruxelles arriverà il giudizio finale. Se Atene non sarà ancora in grado di assicurare la protezione dei confini esterni, allora la Commissione farà scattare l’articolo 26 del Codice frontiere Schengen che consentirà agli altri Stati membri di prolungare i controlli alle frontiere fino a un massimo di due anni. Ma l’esecutivo Ue vorrebbe evitare questa ipotesi. Per togliere un po’ di pressione dalla Grecia, la Commissione sottolinea anche l’importanza di migliorare la collaborazione con la Turchia, che potrebbe diminuire di molto gli arrivi, e di aumentare le relocation da Italia e Grecia. Bruxelles si impegna su questo ad incrementare la pressione sugli Stati inadempienti con un report mensile.

Infine la Commissione insiste perché si torni ad applicare il regolamento di Dublino, anche se presenterà una proposta per modificarlo tra poche settimane. Ma per il momento il regolamento “è ancora vivo”, sottolinea Avramopoulos, e dunque va applicato. La Grecia ne è al momento esclusa perché le sue condizioni di accoglienza dei migranti non erano state giudicate idonee. Ma la Commissione vuole che le cose cambino e pianifica di presentare una valutazione sul tema prima del Consiglio europeo di giugno.

A muovere tutto dovrebbe essere uno spirito di solidarietà europeo, ma vista la situazione, la Commissione presenta anche una prima stima dei danni economici che deriverebbero da un completo crollo di Schengen. I costi diretti, calcola, sarebbero tra i 5 e i 18 miliardi, si perderebbe cioè tra lo 0,05% e lo 0,13% del Pil. Le ricadute sui paesi sarebbero diverse, a seconda delle specificità di ognuno. Polonia, Paesi Bassi e Germania ad esempio, secondo la Commissione, perderebbero oltre 500 milioni in costi aggiuntivi per il trasporto di merci su strada. Spagna e Repubblica Ceca, invece, subirebbero danni alle imprese per oltre 200 milioni. I costi poi sarebbero enormi per gli 1,7 milioni di lavoratori transfrontalieri e per le aziende per cui lavorano: si perderebbero, secondo l’esecutivo Ue, tra i 2,5 e i 4,5 miliardi a causa delle perdite di tempo. Ancora si perderebbero 1,2 miliardi nel turismo e 1,1 di spese dei governi per il personale che materialmente si troverebbe ad effettuare i controlli alle frontiere esterne.

Fonte: Redattore sociale

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