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I familiari delle vittime della Uno bianca annunciano un esposto: “Vogliamo la verità”

Ricorrono i 31 anni dall'eccidio del Pilastro: vennero assassinati i tre carabinieri Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini

Pubblicato:04-01-2022 11:24
Ultimo aggiornamento:04-01-2022 14:53

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BOLOGNA – Tornano ancora una volta a chiedere piena verità sulla strage del Pilastro e sull’intera storia della Uno Bianca i familiari delle vittime della banda formata dai fratelli Savi, che a cavallo degli anni ’80 e ’90 sparse paura, furti e omicidi tra Bologna e la Romagna. Nel giorno del 31esimo anniversario dell’assassinio dei Carabinieri Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini, avvenuto il 4 gennaio 1991, i familiari dei tre giovani militari dell’Arma firmano una nuova lettera nella quale annunciano un esposto, seguendo l’esempio di quanto fatto per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna.

“Anche noi familiari delle vittime della Uno bianca abbiamo il diritto di cercare mandanti e complici– affermano- ed è per questo che presenteremo un esposto che ripercorrerà tutte le azioni oscure della banda. Intanto, continueremo a contrastare permessi e sconti di pena per chi ha terrorizzato un’area del nostro paese con crimini efferati ed apparentemente inspiegabili“. Ancora oggi, ribadiscono i familiari, “non conosciamo tutta la verità su quella strage. Di quell’eccidio, come di tante altre azioni della famigerata banda di assassini, conosciamo solo alcuni esecutori materiali”. La banda dei fratelli Savi, continuano i familiari delle vittime, compì “azioni senza un chiaro movente e caratterizzate da una ferocia omicida del tutto irragionevole rispetto ai presunti obbiettivi”. L’eccidio del Pilastro, in particolare, “richiamò alla memoria stragi del passato, una delle azioni più cruente della banda della Uno bianca e sulla quale aleggiano ancora tante ombre“. 

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Ad esempio, si chiedono i familiari di Mitilini, Moneta e Stefanini, perché i Carabinieri si spostarono in via Casini, dove furono assassinati, “mentre avrebbero dovuto stazionare presso le ex scuole Romagnoli, così come disposto da una dettagliata ordinanza del Questore di Bologna che prescriveva una vigilanza fissa”.


Altro mistero, secondo i familiari, “fu rappresentato dalla sparizione del foglio di servizio della pattuglia ove, tra l’altro, erano riportate le modalità del servizio da svolgere”. Inoltre, continuano i familiari delle vittime, “risulta ancora ignota l’identità di quel misterioso quarto uomo che diversi testimoni videro prelevare i killer, dopo la strage, a bordo di un’Alfa 33“. Infine, sottolineano i parenti dei tre Carabinieri, “restano dubbi sia sul movente che sulle modalità dell’assassinio, ad iniziare dall’ingaggio sino al compimento dell’eccidio”. I killer, dopo aver gravemente ferito i tre militari, “non si allontanarono ma portarono a compimento la strage con un’impressionante pioggia di fuoco”. La banda, tra l’altro, aveva “con sè del kerosene con il quale, subito dopo” fu incendiata l’auto “per cancellare le tracce. Evidentemente il 4 gennaio 1991 dovevano morire tre giovani Carabinieri”, tirano le somme i familiari. Nel gennaio dello scorso anno la Procura di Bologna ha formato un fascicolo conoscitivo per riaprire le indagini sulla Banda della Uno Bianca, ricordano i parenti delle vittime, “affidandole alla Digos della Questura di Bologna e dalle quali attendiamo l’esito. Una decisione presa dopo un’informativa dei Carabinieri tesa a chiarire alcuni aspetti di un’intercettazione telefonica che coinvolse la famiglia della super testimone Simonetta Bersani, un’indagine che ci auguriamo porti dei risultati”. 

Del resto, continuano, sono “sempre di più familiari delle vittime a chiedere la verità attraverso la riapertura completa delle indagini, non solo per la strage del Pilastro”. Un contributo in questa direzione “potrebbe arrivare anche dalla digitalizzazione degli atti sulla Banda della Uno Bianca, chiesta dall’associazione dei familiari delle vittime e avviata lo scorso mese di ottobre”. I parenti dei tre militari dell’Arma si augurano dunque che “la commemorazione del 4 gennaio non sia solo un modo per onorare il ricordo di tre giovani Carabinieri, ma che esorti le istituzioni democratiche del nostro paese a continuare a ricercare la verità sui quei sette anni di terrore seminati dalla banda della Uno bianca e non condividiamo l’atteggiamento di chi, avendo seguito a vario titolo questa triste vicenda, si contrappone alle nostre istanze di verità e giustizia, affermando di avere la certezza che sulla banda della Uno bianca non ci sia altro da chiarire”. Se questo fosse vero, insistono i familiari delle vittime, “questi signori dovrebbero spiegarci come mai la Procura generale di Bologna, grazie alla memoria presentata dall’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980 ha riaperto il caso, avocando a se l’inchiesta sui mandanti, dopo che la Procura ordinaria aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo”. 

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