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Sudan, le opposizioni convocano ‘Freedom friday’

ROMA - Le opposizioni in Sudan hanno convocato per oggi il 'Freedom friday', il venerdì della libertà: al termine della

Pubblicato:04-01-2019 16:28
Ultimo aggiornamento:04-01-2019 16:28

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ROMA – Le opposizioni in Sudan hanno convocato per oggi il ‘Freedom friday’, il venerdì della libertà: al termine della preghiera islamica di mezzogiorno, i cittadini sono stati invitati a scendere in strada per chiedere le dimissioni del presidente Omar Al Bashir, al potere ininterrottamente dal 1989.

Le proteste sono iniziate a metà dicembre e sono proseguite pressoché quotidianamente, dopo che il governo ha annunciato l’aumento del prezzo di pane e carburante, in un Paese in cui quasi la metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà stando ai dati delle Nazioni Unite. Negli scontri con le forze dell’ordine almeno 19 persone hanno perso la vita.

Sebbene negli ultimi giorni le autorità abbiano imposto un blocco a internet e ai social media “per ragioni di sicurezza nazionale”, su Facebook e Twitter qualcuno è riuscito a pubblicare foto e video di alcune proteste in corso. Non lontano da Khartoum, un gruppo di una cinquantina di persone si è radunato al motto di “libertà, libertà”. Molto più affollata la manifestazione ad Omdurman, a nord della capitale, dove il manifestante che riprende il comizio in corso mostra anche un cartello in arabo con su scritto: “Dimettiti, basta”. Uno slogan che viene anche scandito dalla folla. I presenti intonano anche “Libertà, pace e giustizia. Il popolo ha scelto la rivoluzione”.


Ieri, secondo i media africani, il presidente Bashir ha incontrato gli esponenti di un sindacato vicino al partito al potere, a cui ha assicurato che il governo sta facendo il possibile per migliorare le condizioni economiche del Paese. Inoltre ha fatto cenno alla possibilità di aumentare il salario minimo e le garanzie per i lavoratori.

Bashir ha tuttavia respinto con forza la possibilità di dimettersi istituendo un governo di transizione in attesa di andare a nuove elezioni, così come chiedono le opposizioni.

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