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“Rosatellum”: aspettando la prova del budino

Paolo Pombeni                            

Pubblicato:03-11-2017 16:18
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:51

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Paolo Pombeni  

                                  Si sa che, come dicono gli inglesi, la prova del budino consiste nel mangiarlo. La legge Rosato sulle normative elettorali non sfuggirà a questo destino, ma, anche qui come è d’uso, molti si affannano a prevedere in anticipo quale sarà l’esito di questa prova. Non si fa però troppo caso al fatto che come funzionerà la legge sarà determinato anche (forse in buona parte) da come verrà usata dalle forze in campo.

Tradurre semplicemente quanto previsto dai sondaggi in voti da contare secondo quanto previsto da questa normativa non ci sembra tenere conto delle novità che essa inserisce e del clima di fortissima mobilità politica che esiste nell’elettorato. Vediamo di fare qualche ragionamento.


Avremo i collegi uninominali e i listini corti, il che significa una forte visibilità delle persone che i vari partiti proporranno al loro elettorato. Certo un po’ di furberie nella confezione della legge sono pensate nell’ottica di elettori che mettono davanti a tutto la loro scelta ideologica: se io sono per il  centrodestra, per M5S, per il PD, per l’estrema sinistra, trangugerò qualsiasi designazione e non defletterò dalla scelta del mio simbolo del cuore. Ma sarà davvero così? Per una certa parte dell’elettorato è possibile che lo schema di comportamento rimanga quello solito della fedeltà al partito del cuore, ma quanto sia grande questa parte è tutto da verificare. Anni di duelli televisivi, sperpero di populismi di vario genere, sommati ad un lungo tramonto delle ideologie come connotative di una “cerchia del noi” pensiamo abbiano eroso queste antiche fedi granitiche.

Dunque potrebbe accadere che una scelta abile da parte dei partiti quanto ai candidati da presentare possa incidere non poco sugli spostamenti dei voti, anche tenendo conto che la platea dei votanti si è molto ristretta e dunque si divide, non sapremmo dire in che proporzioni, fra i tradizionali pasdaran la cui fede nulla può scalfire e un elettorato preoccupato di una politica che guarda con sospetto e che dunque sceglie quello che gli appare o il più affidabile o il male minore.

Si tenga conto che sembrano in crisi gli effetti di trascinamento che vengono di solito dalle fasce giovanili più disponibili ad impegnarsi per il loro futuro. Generazioni più che scettiche, assai coinvolte nel loro privato (certo più di quelle famose rilevate dai sociologi tedeschi dopo il trauma del 1945), non giocano oggi un ruolo di traino: al massimo alcune loro frange si fanno irretire dalle sirene degli utopismi populisti e/o barricadieri. L’altra componente che di solito dava il tono al dibattito politico, cioè gli intellettuali, è anch’essa in crisi, straziata dalla scelta fra fare i corifei di questo o quel leader o ritagliarsi il ruolo dei censori di tutto e di tutti.

Una incognita non piccola che grava sul futuro panorama elettorale è se e come i partiti avranno il coraggio di scegliere le “maschere” giuste per conquistare il massimo consenso possibile. In astratto sarebbe il momento per buttarsi a mettere in campo il maggior numero possibile di figure spiazzanti, offrendo agli elettori scelte che non possano essere catalogate come l’eterna riproposizione dei politici di professione e dei sodali dei capi corrente. Sfugge a molti che la decisione non sarà facile perché quelle figure raramente hanno a disposizione un numero di consensi sufficienti a garantire il loro successo. Senza un convinto appoggio da parte della struttura dei partiti non riuscirebbero a raggiungere il risultato sperato. Ma è qui che nasce la difficoltà. Perché mai infatti i politici di professione dentro i partiti, che hanno penato una vita per conquistarsi quel ruolo e che, salvo rare eccezioni, non hanno alcun mestiere in cui ritirarsi, dovrebbero lavorare per insediare al loro posto dei concorrenti?

Eppure con la legge Rosato la battaglia di immagine sui candidati diventerà molto importante, più di quel che gli strateghi dei partiti oggi non immaginino. Secondo loro infatti la trovata delle “coalizioni” potrebbe favorire la concentrazione dei voti al di là della rilevanza personale del candidato. Eppure non sembra facile che un elettore, poniamo, della Lega voti, per coerenza di alleato, un candidato di Forza Italia che lo convince poco, e viceversa. Altrettanto si può dire per il PD, messo anche peggio perché i voti “addizionali” alla sua lista gli vengono da piccoli partiti i cui elettori non saranno tanto spinti a fare i portatori d’acqua se le candidature nell’uninominale non li convincono, come non lo saranno gli elettori PD a mantenere il voto se si vedono imporre per desistenza, contrattazioni o altro figure per loro poco attraenti.

Certo i maghi dei calcoli elettorali non ragionano così, ma forse non sarebbe male se dedicassero qualche attenzione anche a questi ragionamenti. Giustamente il sen. Zanda ha ricordato che spesso le leggi elettorali non hanno dato i risultati immaginati dagli strateghi che le avevano concepite.

Insomma il budino confezionato con la legge Rosato potrebbe anche non risultare molto gradito al palato e generare qualche risultato di rigetto. Chi pensa che ciò non sia un problema, tanto poi a livello parlamentare qualche soluzione più o meno di emergenza si trova, non tiene conto che dopo avere creato un sistema che spinge tutti a spararsi addosso senza esclusione di colpi, non sarà così facile far accettare alla gente che quella battaglia all’ultimo sangue è stata solo una sceneggiata. Anche il diffondersi di un’impressione del genere può portare ad esiti destabilizzanti.

per www.mentepolitica.it

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