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Il 4 novembre di Grosseto, l”altra’ alluvione dimenticata

Grosseto fu dimenticata perché la sfortuna volle che lo stesso giorno l'Arno esondasse allagando Firenze

Pubblicato:03-11-2016 17:22
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:15

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di Tamara Giorgetti, figlia di Enzo, assessore al Comune di Grosseto quando ci fu l’alluvione

grosseto_alluvione_1966ROMA  – “Quel maledetto 4 novembre 1966 cominciò, per la verità, il giorno prima. Il cielo si fece color piombo e l’acqua per troppe ore venne giù a catinelle in Maremma e, soprattutto, in montagna. Fece buio prima quella sera, un oscurità minacciosa, rotta da un fitto ‘balenìo’, come fosse un bombardamento. Pareva che le cateratte del cielo si fossero rotte; un ‘lavoro’ in quel modo non si ricordava a memoria d’uomo. La gente cominciò a preoccuparsi, ci si interrogava aggrottando le facce, i più vecchi cominciarono a presagire il disastro: e disastro fu!”

Comincia così il capitolo sull’alluvione nel libro di mio padre. Solo due paginette alla fine, non aveva voglia di parlare dell’alluvione e come dice lui “troppe cose di cui si è scritto e parlato fino alla noia” ma ricordo alcune immagini che sono stampate nella memoria di tutti noi come la foto della bambina sul tetto dell’idrovora di Cernaia, lei era la figlia del guardiano dell’idrovora e fu salvata insieme alla sua famiglia con l’elicottero (Foto sotto).


L’Ombrone ruppe gli argini in 4 punti alle 7,55 della mattina del 4 novembre 1966 ed entrò con tutta la sua prepotenza in città sommergendola con la sua acqua marrone portandosi dietro tutto quello che trovava, in poche ore la città e la provincia furono sotto 4 metri di acqua.

I segnali c’erano tutti, da giorni ormai pioveva a monte e in Maremma si sa benissimo che quando piove a lungo a Buonconvento le notizie non sono mai buone. Nonno Gino scuoteva la testa e borbottava fra se e se parole che non lasciavano dubbi, il peggio poteva arrivare. Ne avevano viste di piene i vecchi grossetani e specialmente loro che venivano da Volta di Sacco conoscevano bene il fiume. Le targhe sono tutte lì attaccate sulle mura, a Porta Vecchia, a testimoniare le piene dell’Ombrone degli ultimi 100 anni e i metri erano sempre più alti.

L’alluvione di Grosseto, definita giustamente, nel libro di Pilade Rotella e Luciano Bianciardi “L’alluvione della povera gente”, l’alluvione che colpì una provincia già molto povera con un alto tasso di disoccupazione. Grosseto fu dimenticata perché la sfortuna volle che lo stesso giorno l’Arno esondasse allagando Firenze, quindi la capitale dell’arte italiana ci “rubò” la scena e non solo, a Firenze arrivò di tutto da tutto il mondo.

Ma una cosa va detta, a Firenze l’Arno esondò ma a Grosseto l’Ombrone ruppe gli argini ed è cosa ben diversa. Un fiume esonda dolcemente, ma quando rompe lo fa con tutta la prepotenza di cui è capace e l’Ombrone è un fiume a carattere torrentizio quindi ha la prepotenza di un torrente non la dolcezza di un fiume.

I giornali e i telegiornali di tutto il mondo riportarono solo articoli e immagini di Firenze e neppure qualche riga sulla Maremma. Sicuramente l’alluvione di Firenze fu drammatica perché colpì un patrimonio di inestimabile valore ma anche la piccola provincia maremmana visse lo stesso dramma. Quindi dopo 50 anni rendiamogli giustizia, ricordiamola, ricordiamo tutti quelli che lavorarono giorni e mesi, anche in Maremma ci furono gli angeli del fango.

Quindi il Genio civile, era in preallarme, i turni di guardia per capire quanto cresceva il fiume erano ormai fissi, e fu la prima volta che cominciai a sentir parlare di “portata d’acqua della piena”, di metri oltre il “limite di guardia”, e ormai il limite di guardia lo aveva superato, era importante capire se l’acqua correva verso il mare o no, se durava il vento di terra il mare riceveva l’acqua dell’Ombrone, ma il vento cambiò. La mattina il telefono squillò molto presto, prima delle 7 e andai io a rispondere, era il comando dei vigili urbani che voleva urgentemente babbo, seppi dopo che lo avvisavano di andare subito a controllare perché sembrava che l’Ombrone stesse andando fuori dalla golena ma non sapevano di preciso dove, e che alcune strade erano già allagate. Noi abitavamo al 5 piano quindi eravamo più che sicure, babbo uscì e lo rivedemmo a notte fonda, arrivò solo un biglietto per avvisarci di quello che stava succedendo.

Uscito da casa si era diretto verso sud, aveva pensato di andare verso la “barca” passare la ferrovia di Gorarella e andare a vedere il livello dell’acqua, però si trovò di fronte un muro di acqua che stava arrivando, fece una rapida conversione sui binari e si diresse verso la Prefettura che fu l’unica Istituzione a rimanere asciutta, anche il comune era finito sottacqua. E da lì partì la macchina dei soccorsi. L’Ombrone aveva rotto gli argini in 4 punti, 2 appena fuori città dove era il Motel dell’Agip e poi in via dei Barberi, dove il fiume entra in città, l’argine è vicino alle case.

All’inizio c’era un solo elicottero uno di quelli piccoli con sotto lo zatterone arancione, gli altri, quelli dell’esercito erano partiti da Roma e rimasti bloccati per il forte vento così come rimasero bloccati i mezzi anfibi che non riuscirono a metterli in acqua per attraversare il ponte Mussolini, spazzato via. Rimase bloccata anche la troupe della Rai che stata venendo a Grosseto per i festeggiamenti del 4 novembre all’aeroporto militare. Nessuno riuscì ad entrare in città prima di due giorni, ma i grossetani non si lasciarono vincere dalle acque, conoscevano la forza dell’Ombrone e sapevano cosa dovevano fare: rimboccarsi le maniche.

Babbo come assessore al comune di Grosseto, fu consegnato dal nostro sindaco Pollini in quanto conoscitore del territorio anche senza cartine topografiche, (che non servivano essendo tutto il territorio sott’acqua). Il pilota, militare, (dettero un grosso aiuto i militari durante l’alluvione) e mio padre partirono per un giro d’ispezione, e si resero conto che la situazione era più drammatica del previsto. Tutta la provincia di Grosseto era sommersa dall’acqua, le cascine, i poderi, le case cantoniere, tutto coperto e non si capiva che fine avesse fatto la gente, una grande desolazione. Avvisarono la popolazione, con un megafono dall’elicottero, dicendo di salire sui tetti e cominciarono i lanci di biscotti e latte: a quei tempi le bottiglie erano di vetro e molte si rompevano, ma poi cominciarono ad arrivare a segno e la gente non si sentì più sola.

Le acque si ritirarono lasciando fango dappertutto, carcasse di animali ormai gonfi per i troppi giorni rimasti in acqua, macchine, biciclette, motorini e anche autobus, tutto quello che si trovava nelle case, sulle strade e in ogni luogo dove l’acqua era entrata e uscendo si era portata dietro tutto. Grosseto non aveva grandi opere d’arte come Firenze, ma ha avuto l’acqua molto alta ed è stata dimenticata da tutti. I maremmani sono gente dura e tenace, si sono rimboccati le maniche e hanno saputo da subito che avrebbero dovuto fare da soli e da soli fecero. Il giorno in cui si ritirarono le acque i prezzi degli stivali di plastica e delle pompe per aspirare l’acqua dagli appartamenti e cantine erano andati alle stelle: gli sciacalli sono sempre presenti nelle disgrazie.

Dal nostro terrazzo per fortuna al 5 piano si vedeva molto bene il ponte dei Macelli, credo si chiami così perché anticamente c’erano dei macelli, e da sotto quel ponte passava di tutto, macchine, autobus, camion addirittura e animali, tanti animali di tutte le razze e taglie, alcuni ancora vivi che cercavano disperatamente di salvarsi. In tutto questo dramma che si stava consumando ci giunse voce che i proprietari del negozio di alimentari proprio attaccato al ponte, che abitavano nel nostro palazzo, erano rimasti bloccati dall’acqua. Pensando che fosse una cosa passeggera non avevano pensato di chiudere e andarsene. Quando l’acqua cominciò a salire anche loro cominciarono a scalare gli scaffali del loro negozio e dovettero passare la notte abbarbicati nell’ultimo piano degli scaffali che per fortuna tennero. Furono salvati due giorni dopo.

Quando riuscimmo ad uscire da casa e fare pochi metri intorno a noi solo fango e desolazione, animali morti e carcasse di ogni cosa, ma anche tanti grossetani con le mani nel fango e da quelle immagini la promessa che non sarebbe più successo.

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