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FOTO | Giordania, Shams: “Sono rifugiata, voglio tornare a essere persona”

di Serena Fiorletta

Pubblicato:03-10-2019 17:44
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:46
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ROMA – Il cimitero, con tutte le lapidi rivolte verso la Mecca, arriva fino al limite del precipizio, dove si apre una profonda vallata che ospita d’inverno il letto di un fiume, d’estate un’esplosione di arbusti verdi, tra i massi enormi di un deserto roccioso. “Tutto è stato ripulito e reso più accessibile per permettere alle persone di venire a trovare i propri cari che sono sepolti qui”, ci dice un ragazzo, mentre il nostro sguardo si sposta immediatamente al margine del cimitero, dove ci sono fosse scavate di fresco, molte per un posto così piccolo.

A scrivere per DireDonne da Bsera, in Giordania, è Serena Fiorletta, responsabile della comunicazione di Aidos (Associazione italiana donne e sviluppo) inviata per il progetto Aidos, in partenariato con Arcs e Nhf, finanziato da Aics Amman che vede coinvolte diverse località per l’empowerment economico, il rafforzamento della micro-impresa e l’offerta di opportunità occupazionali nei governatorati di Aqaba e Tafileh.

“Abbiamo finito il nostro lavoro per il progetto, ma abbiamo voluto lasciare degli spazi già pronti, sono un dono alle famiglie in difficoltà che solitamente devono indebitarsi per seppellire i parenti”.



Il sole è caldissimo mentre un gruppo di giovani racconta il lavoro svolto a Bsera, un piccolo Comune nel sud della Giordania, dove il deserto di rocce e sabbia è parte del fascino del luogo ma anche ciò che lo rende difficile da abitare. I ragazzi ci accompagnano per mostrarci gli alberi che hanno piantato per creare un parco pubblico, le scuole ridipinte a colori vivaci per renderle più belle e la creazione di canali di scolo, facendo emergere la necessità vitale che hanno di lavorare, la passione che ci hanno messo e, come in questo caso, la pietas. Il progetto di Aidos – scrive Fiorletta – è rivolto a rifugiate e rifugiati siriani e popolazione vulnerabile giordana, ha visto il coinvolgimento e potenziamento delle associazioni della società civile del territorio e una parte di formazione rivolta allo stesso staff degli incubatori d’impresa.


Il conflitto in Siria ha creato una delle maggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni. In Giordania risultano 659.063 rifugiate e rifugiati registrati, a cui si devono aggiungere coloro che non lo sono e che secondo le stime fanno salire il numero a 1,25 milioni. Pochi sono nei campi d’accoglienza mentre la maggior parte vive in aree urbane, periferiche e rurali e, nonostante abbiano un accesso limitato al mercato del lavoro, la loro presenza si innesta su un Paese che ha già enormi difficoltà con la popolazione povera giordana.

Particolarmente grave è la situazione di disoccupazione in cui versano le donne, siriane e giordane, e le persone giovani. I governatorati del sud del Paese, che partecipano al progetto, soffrono di marginalizzazione in termini di servizi e di inclusione, con il pericolo di diventare luoghi a rischio per la stabilità sociale se non si interviene con consapevolezza e attenzione a tutte le variabili culturali, sociali, emergenziali e di genere. Nel corso del progetto c’è chi ha ricevuto formazione sulla creazione d’impresa, sul rafforzamento di attività già avviate e coloro che hanno avuto opportunità di lavoro a breve termine per iniziare a inserirsi nel mondo lavorativo e nel luogo in cui vivono.

“E’ stato importante partecipare a una formazione sul lavoro e creazione d’impresa, noi siriani dobbiamo reinventarci non avendo più nulla e perché probabilmente non torneremo mai nel nostro paese” racconta Mohammed, sottolineando come “la cosa diversa di questo progetto è stata il coinvolgimento sia di siriani che giordani, uomini e donne, che ci ha permesso di sentirci parte del posto, non pensare alle differenze, non sentire sulle spalle la pesante etichetta di rifugiato”. Gli fa eco Shams, una donna – scrive Fiorletta – che ha partecipato alle formazioni e ha avuto l’opportunità di lavorare in un ufficio, “uno stipendio serve per vivere, far mangiare i figli, vestirli ma anche per sentirmi di nuovo produttiva, inoltre lavorando ho avuto l’occasione di conoscere tante altre donne”.

L’importanza delle relazioni sociali e come queste siano parte fondamentale dell’empowerment di una persona è uscito fuori da tutti gli incontri che abbiamo fatto, “prima non ci conoscevamo, o alcune di noi solo di vista”, racconta un gruppo di donne che ha sistemato, archiviato e digitalizzato i documenti del municipio, “ora siamo amiche e ci vediamo anche fuori dal lavoro”. Ridono quando domandiamo se ci sono stati problemi in famiglia per il lavoro che hanno svolto, “no nessun problema, è un mio diritto”, “mio marito è contento, abbiamo bisogno di soldi per vivere“, “all’inizio ci sono state delle resistenze ma hanno visto tutti quanto mi faceva stare bene”.

 


L’intero progetto ha adottato un approccio di genere che Aidos porta avanti da oltre 20 anni in Giordania, promuovendo pari opportunità e relazioni tra generi positive. Inoltre bisogna ricordare che le disparità di genere si accentuano sempre nei contesti umanitari e le donne pagano un prezzo altissimo nei momenti di crisi. Il benessere è fondamentale per l’empowerment delle donne che ha anche un impatto diretto sulle famiglie e sulle comunità. Le attività realizzate hanno infatti mirato a favorire le loro capacità decisionali, l’esercizio dei diritti, a livello lavorativo, familiare e comunitario. Le persone che hanno partecipato al progetto le abbiamo incontrate in questi giorni di missione a Bsera e a Tafileh, altre durante l’evento conclusivo del progetto che si è svolto ad Aqaba, nei locali dell’incubatore d’impresa della Nhf.

All’iniziativa erano presenti le beneficiarie e i beneficiari della formazione e che hanno ricevuto degli attestati, le istituzioni dei governatorati e delle municipalità ma anche lo staff degli incubatori e le associazioni della società civile locale che hanno ricevuto, nello stesso periodo di realizzazione delle attività, una formazione apposita sull’accoglienza e il trattamento di casi di persone con vulnerabilità. Sono molte le donne e gli uomini che hanno avuto per la prima volta l’opportunità di lavorare, rafforzare le proprie piccole imprese o creare idee di startup: da Samira, che ha deciso di ampliare la sua vendita di dolci e prodotti da forno creando un logo e una pagina Facebook, a Fatima che ha coinvolto il marito disoccupato in un progetto familiare di catering a domicilio e vendita di prodotti. Tra le persone rifugiate quasi tutte vorrebbero ripartire dai mestieri che svolgevano in Siria, perché sono ciò che sanno fare.

“Voglio produrre profumi, nel mio paese avevo un grande negozio che mi ha permesso di specializzarmi anche nella creazione di essenze” racconta Juad, che nella sua minuscola abitazione ha comunque creato un angolo pieno di boccette, tamponi e oli essenziali che profumano tutta la casa. “Perché anche se rischiamo di essere considerati rifugiati per tutta la vita – conclude Fiorletta – fino a ieri non lo eravamo, voglio tornare a essere una persona”, sussurra Shams prima di salutarci.


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