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ROMA – La vittoria, le lacrime. Di gioia ma anche di frustrazione per l’attenzione morbosa degli ultimi giorni, per il vortice di polemiche nel quale è stata inghiottita dopo l’incontro con l’italiana Angela Carini, un match durato 46 secondi prima del ritiro dell’azzurra. Da quel momento, su Imane Khelif si è abbattuta la tempesta mediatica perfetta: tutti a caccia di informazioni sul suo corpo.
Una ricerca ossessiva di dettagli sulla disfunzione ormonale che determinerebbe un livello di testosterone superiore alla media, di conseguenti dubbi sulla regolarità della sua partecipazione alla competizione olimpica, di pareri di esperti in campo genetico, di utenti ed haters sui social a caccia di curiosità di ogni tipo, di titoli sulle origini e sull’infanzia. Ecco il bagaglio di sentimenti che l’atleta algerina si portava dietro prima di salire sul ring per i quarti di finale del torneo dei 66 kg. Imane Khelif ha superato per 5-0 l’ungherese Anna Luca Hamori, accedendo così alle semifinali e garantendosi almeno la medaglia di bronzo: nella boxe non esiste finale terzo posto.
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“E’ una questione di dignità e onore per ogni donna – ha detto l’atleta dopo l’incontro, in un fiume di lacrime – Tutto il popolo arabo mi conosce da anni. Per anni ho fatto boxe nelle competizioni della federazione internazionale, loro sono stati ingiusti con me. Ma io ho Allah”..
In mattinata il Presidente del Cio, il Comito Olimpico Internazionale, Thomas Bach (che ore prima aveva incontrato anche la premier italiana Giorgia Meloni) si era pronunciato con fermezza, chiarendo che “non c’è mai stato alcun dubbio sul fatto che le atlete fossero donne” e giudicando “l’attuale abuso online” come “inaccettabile”.
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