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Trivelle, coordinamento No Triv: “Salvini supera il record ‘sparaballe’ di Renzi”

Il coordinamento No Trivelle contro il ministro dell'Interno: "Serve un classe politica preparata, competente e lungimirante"

Pubblicato:03-08-2019 11:48
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:35
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ROMA – “In un breve ma intenso passaggio sul Corriere della Sera, il vicepresidente del Consiglio ha stracciato il precedente record di ‘sparaballe’, stabilito nel lontano 2016 dall’altro Matteo nazionale”. Lo scrive il coordinamento nazionale No Trivelle.

Il coordinamento passa in rassegna “il Salvini-pensiero punto per punto. Non è il ministero dell’Ambiente – e tanto meno il ministro – a rilasciare titoli o a rigettare istanze di ricerca e prospezione, o domande di coltivazione (estrazione a fini produttivi), bensì il ministero dello Sviluppo economico. Non c’è alcun blocco delle estrazioni. La legge 12 dell’11 febbraio 2019 è stata frutto di una lunga mediazione tra M5S e Lega (poi Giorgetti è andato a Ravenna a piangere lacrime di coccodrillo).
La legge 12 non ha sospeso le attività di estrazione all’interno delle aree interessate da concessioni”.

“Anzi- si legge- per le concessioni per estrarre gas e petrolio che vanno a scadenza c’è la proroga automatica a semplice richiesta. Infine, all’interno delle concessioni in mare e su terraferma esistenti all’11 febbraio 2019, si possono, a determinate condizioni, scavare nuovi pozzi e costruire nuove nuove piattaforme”.


E ancora: “La perdita dei posti di lavoro non ha niente a che fare con i fatti italiani- proseguono i Notriv- Si era detto anche in occasione del Referendum del 2016: se vinceranno i ‘No Triv’ per i lavoratori saranno guai. Morale della favola, il 17 aprile 2016 non si raggiunse il quorum ma la crisi del settore proseguì egualmente. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque”.

“Prendiamo il caso di Ravenna- prosegue il coordinamento No Triv- polo dell’industria Oil&Gas nazionale. Dal 2016 in poi il fatturato delle aziende ravennati è quasi esclusivamente per commesse dall’estero. Idem per gli occupati. La politica energetica nazionale in tutto questo c’entra come i cavoli a merenda. Ad affermarlo è il Roca (Ravenna Offshore Contractors Association), avanguardia del fronte ‘Sì Triv’. Insomma, i ‘Sì Triv’ sbugiardano Salvini”.

Sui posti di lavoro a rischio, si legge ancora, “a Ravenna come altrove, il Governo (e Salvini) non fa nulla. I lavoratori dell’Oil&Gas sono invisibili soprattutto ai miopi che, come Salvini e come gran parte della classe politica, non hanno interesse a guardare oltre la scadenza della legislatura ed al loro ciclo di vita. Figuriamoci poi a chiedere loro di guardare oltre la data non molto lontana in cui anche il gas dovrà essere abbandonato per far posto all’efficienza energetica e alle rinnovabili”.

C’è un piano di riconversione del settore upstream e downstream? “Nei prossimi 10-15 anni gran parte delle 139 piattaforme (di cui 72 sono di Eni) presenti nei nostri mari dovrà essere smantellata. C’è un progetto industriale alternativo alle trivelle che assicuri il futuro delle imprese e dei lavoratori di quel settore che non siano resort sull’acqua e minirigassificatori? Salvini e Di Maio ce l’hanno? Ne hanno mai discusso con sindacati e Confindustria? No”.

Per quanto riguarda i posti di lavoro aggiuntivi che “si potrebbero ottenere e per cui il Governo è fermo al palo- dicono i No Triv- l’Irena (International Renewable Energy) e l’Ukerc (Uk Energy Research Center, un importante centro studi sulle energie rinnovabili britannico) lo hanno certificato da diverso tempo: la transizione verso le rinnovabili crea più posti di lavoro di quanti ne distrugga. Confindustria parla di 126 miliardi di investimenti e di 1 milione di posti di lavoro che le rinnovabili possono creare nei prossimi 10 anni a patto che il Governo decida di investire in infrastrutture, efficienza energetica, smart grid, eccetera”.

“Al Governo, invece- continuano i No Triv- riesce particolarmente bene lavorare al contrario, facendo approvare norme ammazza-lavoro come quella contenuta nel Decreto Crescita (art. 3 comma 10) sulla cessione del credito Irpef, che rischia di mettere in ginocchio le piccole imprese delle rinnovabili, favorendo invece i grandi produttori di energia e le utility. Non si creano nuovi posti di lavoro dando sussidi alle fonti fossili che sono destinate a scomparire (17 miliardi di euro, secondo fonte governativa) e che sono anche dannose per il clima”.

Secondo il coordinamento “abbiamo bisogno di una classe politica preparata, competente e lungimirante (che non c’è). La transizione energetica, a cui non possiamo rinunciare, comporta inevitabilmente trasformazioni nel sistema economico produttivo”.

“Qualcuno- concludono- deve governare questo processo con politiche adeguate, ma questo obiettivo non è desiderabile. Oggi la politica decide in base alla durata dei cicli elettorali o alla data di possibili elezioni anticipate. Quando tra 15 anni le trivelle arriveranno a fine vita e avrà inizio un nuovo, e purtroppo troppo lento percorso di uscita dal gas, cosa faranno i lavoratori di Ravenna, di Gela, eccetera? E i giovani che vorranno fare il loro ingresso sul mercato del lavoro nel settore energy? Né Eni né Salvini dovranno porsi questo problema ma i lavoratori? Ecco perché abbiamo bisogno di una classe politica preparata, competente e lungimirante”.

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